giovedì 28 febbraio 2013

La grande musica si fa telefonica in Quoditiaano Arte del primo marzo

venerdì 1 marzo 2013
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Per assistere a tutti i concerti dei Berliner Philarmoniker
La grande musica si fa telefonica
la redazione
Una nuova applicazione che permette agli utenti della Digital Concert Hall di assistere su iPhone (dalla versione 4), iPad e iPod touch a tutti i concerti dei Berliner Philarmoniker in diretta, a quelli in archivio, di guardare i video didattici e le interviste agli artisti.
Oltre a questi materiali, sarà possibile accedere a tutte le biografie dei musicisti.
La Digital Concert Hall App (DCH App) è già disponibile per il download gratuito dall’Apple Store.
La App è stata progettata e sviluppata dalla Berlin Phil Media GmbH, una filiale dei Berliner Philharmoniker, e da Neofonie Mobile GmbH.
Con questa applicazione, i Berliner intendono rispondere alle richieste di molti utenti che desiderano accedere ai concerti della Digital Concert Hall anche dal proprio smartphone o applicativo ovunque si trovino o sul proprio televisore utilizzando la Apple TV.
I contenuti premium sono accessibili acquistando i biglietti standard della Digital Concert Hall.
Per testare l'applicazione è disponibile una registrazione gratuita della Sinfonia n. 4 di Beethoven e della Sinfonia n. 1 di Mahler, entrambe dirette da Sir Simon Rattle.

info: www.digitalconcerthall.com/en/info/apple e su http://www.berliner-philharmoniker.de/en/press-room/

Pechino è molto vicina vista dal Fondo monetario internazionale in Formiche del 28 febbraio



Pechino è molto vicina vista dal Fondo monetario internazionale

28 - 02 - 2013Giuseppe Pennisi Pechino è molto vicina vista dal Fondo monetario internazionale
Ancora una volta, la Cina, la sua crescita ed i suoi squilibri interni ed internazionali sono al centro dell’attenzione dell’economia internazionale. Quindi, chi, come il vostro ‘chroniqueur’ ha iniziato la propria carriera, 45 anni fa, lavorando per un lustro sull’Estremo Oriente (giungendo pure a conversare in Bahasa – la lingua che si estende, con varie sfumature, dall’Indonesia, alla Malesia ed al Madagascar) e che ha avuto più di un occasione di visitare la Cina negli ultimi vent’anni, non può che dare un’occhiata al grande Impero da cui dipende l’economia mondiale (specialmente in questi giorni di attesa sul futuro della politica, e dell’economia, italiana).
Lo esamina con il cannocchiale ma con un interlocutore d’eccezione Papa N’Diaye, giovane economista senegalese che dirige la Divisione Cina al Fondo Monetario. Nel 2009, ricordiamo, un suo saggio accademico causò un certo scalpore perché metteva in dubbio la sostenibilità del modello di crescita cinese basato sull’espansione delle esportazioni.
A Roma per incontri con istituzioni italiane, N’Diaye ha accettato di scambiare idee sulle prospettive della Cina e sulle sue priorità. In primo luogo, le prospettive sono ottimiste (nonostante le tensioni etnico-politiche interne sulla cui portata economica preferisce minimizzare). In breve la Cina sta silenziosamente mutando i propri obiettivi: da una crescita attorno all’8% l’anno ad una attorno al 5% l’anno in cui si dia la priorità alla ‘qualità dello sviluppo’. Ciò dipende sia da determinanti internazionali – il peggioramento delle ragioni di scambio della Cina, le pressione per un ulteriore apprezzamento del cambio, già apprezzato del 30% dal 2005 ad oggi – sia da determinanti interne – declino del tasso di migrazione dal settore rurale a quello urbano, invecchiamento della popolazione attiva, pressioni per aumenti dei salari, più alti livelli di consumo delle famiglie.
Per N’Diaye, alcune analisi dell’economia cinese apparse nelle ultime settimane denotano un pessimismo eccessivo mentre particolarmente il ‘dodicesimo piano quinquennale’, approvato due anni fa ed in attuazione come da programma, sta viaggiando verso un soft landing, atterraggio morbido’ verso un nuovo modello di crescita, maggiormente rivolto al mercato interno ed ai consumi interni piuttosto che all’ampliamento delle proprie quote di mercato mondiale. In tal modo il continente Cina potrà dare un contributo positivo all’economia mondiale.
Occorre, però, che venga data la priorità al riassetto del settore finanziario, il vero ‘tallone d’Achille‘ per uno sviluppo interno ben modulato. N’Diaye traccia un percorso in sei tappe:
· Un ‘rafforzamento’ (leggasi ulteriore apprezzamento del cambio);
· Un ripensamento del contesto finanziario generale ed istituzionale;
· Regole migliori e più incisive per il funzionamento degli intermediari finanziari e la vigilanza;
· Sviluppo ‘di mercato’ degli altri elementi del settore finanziario (soprattutto delle assicurazioni);
· Liberalizzazione dei tassi d’interesse;
Apertura ai movimenti di capitali.
E’ un percorso che, ad una lettura veloce, può sembrare facile. Chi ricorda la lunga ed impervia strada per il ritorno alla convertibilità ed a sistemi finanziari ben funzionanti in Europa dopo la seconda guerra mondiale (nonostante ci si potesse basare su istituzioni generalmente ben funzionanti sino alla grande depressione) sa che si tratta di un viottolo tutto in salita dove interessi particolaristici cresciuti e rafforzatisi negli ultimi trent’anni possono tendere imboscate.
Vale la pena ricordare che Carsten A. Holz dell’Università di Stanford, in un suo lavoro di qualche anno fa – China’s Economic Growth 1978-2025: What We Know Today about China’s Economic Growth Tomorrow- , mostra un quadro molto più problematico. Con implicazioni anche inquietanti per il resto del mondo.

mercoledì 27 febbraio 2013

Originale e inquietante. È l’Anello palermitano in Artribune del 28 febbraio



Originale e inquietante. È l’Anello palermitano

Tagli alla cultura? Macché, se stessimo a guardare il Teatro Massimo di Palermo. Dove senza alcuna partnership si produce l’intera tetralogia wagneriana del Ring. Ora siamo a metà dell’opera, e si possono tirare alcune somme.

Scritto da Giuseppe Pennisi | mercoledì, 27 febbraio 2013 · Lascia un commento
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Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold – Teatro Massimo, Palermo 2013 – photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Quando, nella primavera del 2012, il Teatro Massimo di Palermo ha annunciato che il bicentenario della nascita di Richard Wagner sarebbe stato celebrato con un nuovo allestimento de L’Anello del Nibelungo, la scelta è apparsa temeraria. La tetralogia di quattro opere (un prologo e tre giornate, nel lessico wagneriano) non è mai stata presentata in una sola stagione nel capoluogo siciliano. Richiede 35 solisti, un coro, numerosi cambi di scena e un enorme organico orchestrale. Quando il Teatro Regio di Torino tentò l’intrapresa, finì in dissesto finanziario. Se si escludono i teatri tedeschi e pochi altri (da circa quarant’anni Seattle Opera si è dedicata al Ring e lo propone ogni anno), di solito viene messa in scena un’opera l’anno e al termine vengono presentati uno o due “cicli” completi. È questa, ad esempio, la scelta che persegue La Scala e la Staatsoper di Berlino in una co-produzione che è durata quattro stagioni e termina il prossimo giugno.
Due aspetti dell’annuncio sorprendevano: il primo è che il Massimo palermitano (dove un Ring intero non è stato mai prodotto: nel 1970-71 ne venne presentata, nell’arco di due stagioni, una produzione di Ginevra) avrebbe fatto tutto da solo; il secondo è che l’allestimento drammaturgico e scenico sarebbe stato affidato a Graham Vick (regia) e a Richard Hudson (scene e  costumi) con l’intento di costruire “uno spettacolo appositamente ispirato e concepito per gli spazi del grande teatro palermitano”. Vick ha al suo attivo già due Ring, uno per il piccolo Teatro di Lisbona, in cui la tetralogia veniva vista, con ironia, come uno spettacolo circense; e un’edizione ridotta (9 ore invece di 15, 19 orchestrali invece di 170) prodotta per Birmingham, con il compianto compositore Jonathan Dove. La si è vista a Reggio Emilia: qui il Ring diventa un drammone di famiglia Anni Cinquanta (tipo Il Lutto Si Addice ad Elettra di Eugene O’Neill).
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold – Teatro Massimo, Palermo 2013 – photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Il Ring palermitano viene  messo in calendario ad apertura e chiusura della stagione 2013: Das Rheingold (22-31 gennaio), Die Walküre (21 febbraio-3 marzo), Siegfried (19-30 ottobre), Götterdämmerung (23 novembre-4 dicembre). Il regista e il maestro concertatore non hanno fatto trapelare alcuna notizia (né alcuna immagine) del loro allestimento sino al 22 gennaio. Ora che siamo giunti a metà percorso, si può tirare un bilancio preliminare.
In primo luogo, Vick non ha seguito la prassi di numerosi registi d’opera, ovvero vendere per nuovo il già-fatto. Questo Ring è totalmente differente dalle due edizioni precedenti da lui firmate. È una tetralogia da teatro greco al contrario, con il dramma satiresco posto all’inizio come prologo (Das Rheingold). A esso è assegnato un carattere da commedia: un mondo di Dei, Giganti, Nani ed elementi primordiali un po’ giuggioloni anche se assetati di potere e di sesso. Una lettura quanto mai insolita per chi usa andare al Massimo di Palermo. La si comprende in Die Walküre, la cui ambientazione ricorda il recente film tedesco Die Kriegerin (La Combattente), opera prima di David Wneendt (lavoro che ha destato molte polemiche, ma non è mai stato distribuito in Italia). Il film tratta, con cruda violenza, dei gruppi neonazisti nei Länder settentrionali della Germania dell’Est.
Come nel film, l’ambiente è cupo (tranne l’ultima scena in un’assolata campagna, che suggerisce la speranza), la violenza è una prassi. Mentre l’orchestra suona l’introduzione, assistiamo allo stupro di gruppo di una giovane sposa. Durante la cavalcata delle Valchirie, un ragazzo, appena entrato nel regno dei morti, viene sodomizzato da un “eroe” adulto. L’ambiente è squallido (il ‘Palazzo’ degli Dei è un malridotto camper accanto a una discarica), le relazioni di coppia sono crude (Sigmundo fa l’amore con Siegliende sul tavolo del tinello-cucina della casa di Hunding, marito della ragazza), tra le Valchirie si adombrano rapporti saffici e tra gli ‘eroi’ defunti in battaglia da esse curate non mancano baci omo.
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold – Teatro Massimo, Palermo 2013 – photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Tutto ciò ha lo scopo di scioccare il conservatore pubblico palermitano? Dopo un mondo degli Dei, presentato come un parco giochi per divinità un po’ infantili, in Die Walküre siamo in un impietoso mondo degli uomini, con qualche dio e semidio ormai sulla via di una misera pensione che prelude alla morte in Götterdämmerung. C’è solo un lembo di speranza, quella che in autunno dovremmo vedere in Siegfried.
Così vista, questa tetralogia ha una sua innegabile originalità e coerenza. Ma è anche molto inquietante. Non proprio l’obiettivo del luterano, con venature buddiste, Richard Wagner, che intendeva mostrare il passaggio dalle vecchie divinità germaniche al monoteismo, al centro di gran parte della sua poetica.
Giuseppe Pennisi
www.teatromassimo.it
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo

Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo
Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo

Das Rheingold - Teatro Massimo, Palermo 2013 - photo Franco Lannino – Studio Camera Palermo

Cosa si aspetta l’economia (ed il resto del mondo) in Il Velino 27 febbraio



Cosa si aspetta l’economia (ed il resto del mondo)
Il PD dovrebbe cercare di creare una ‘grande coalizione’ con il PDL
di Giuseppe Pennisi - 26 febbraio 2013 18:59 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
I risultati elettorali hanno dato un quadro certo su chi ha vinto e chi perso ma un quadro incerto per quanto riguarda la governabilità. Quest’ultima è essenziale per portare l’Italia fuori dalla recessione, ed ancor di più per evitare che la recessione in corso dal 2008 diventi una ‘Grande Depressione’. Occorre partire da chi ha vinto e da chi ha perso per vedere come assicurare la governabilità. Il Movimento Cinque Stelle è stato, senza dubbio, il maggior vincitore: è il partito con più voti, ha presentato un programma snello e comprensibile, ha utilizzato tecniche moderne di comunicazione per divulgarlo. Ha vinto anche la coalizione PDL-Lega (& partiti associati) non solamente perché partiva fortemente svantaggiata ed aveva contro, oltre agli avversari interni, veri o presunti avversari internazionali. Hanno indubbiamente perso il gruppo Monti (entrato in Parlamento per il rotto della cuffia) e le formazioni politiche, spesso improvvisate, che non varcheranno la soglia di Montecitorio e di Palazzo Madama.


Ed il PD? Il dato cruciale non è tanto che con meno del 30% e con distacco minuto dal PDL (che, per di più, potrebbe invertire di segno in caso di riconteggio) ottiene, grazie ad una legge elettorale che la sua dirigenza non voluto cambiare, la maggioranza dei Deputati (una maggioranza legittima ma non legittimata), ma quello secondo cui il gruppo dirigente ha portato la sinistra al risultato elettorale peggiore dal 1961. A questo punto, invece, di tanti trionfalismi il gruppo dirigente dovrebbe lasciare le redini del Partito a chi è in grado di formare una maggioranza stabile in grado di fare non solo le riforme istituzionali (compito di un ‘Governo di scopo ’) ma di fare uscire l’economia dalla palude in cui rischia di affondare. Sin dalla prime dichiarazioni, i leader del PD- SEL hanno teso la mano al Movimento Cinque Stelle e ne hanno avuto la risposta che si sarebbero dovuti aspettare: convergenza possibile (ma non probabile) su alcuni provvedimenti ma nessuna cambiale in bianco (in voto di fiducia) neanche avendo come contropartita un’alta carica istituzionale.


D’altronde per quale motivo il Movimento Cinque Stelle dovrebbe rinunciare ad una rendita di posizione destinata a crescere anche in quanto il programma economico del PD è pieno di contraddizioni e anche ove non lo fosse sarebbe di difficile attuazione. Il PD dovrebbe cercare di creare una ‘grande coalizione’ con il PDL . D’altronde hanno già governato insieme per un anno e mezzo e possono (come avvenne in Germania nel 2005-2010) definire ed attuare un programma di riforme economiche ed istituzionali tali da essere apprezzati dalla comunità internazionale. Lo globalizzazione – è stato scritto – una camicia di ferro di tutta d’ora. Ora, volente o nolente, la indossa il PD e non ha altra scelta se non ambisce ad un ‘governicchio ‘ di breve periodo che porterà ad una ulteriore contrazione dei suoi elettori.

Arte, musica e sport nella primavera di Montecarlo in Formiche 27 febbraio

Arte, musica e sport nella primavera di Montecarlo

27 - 02 - 2013Giuseppe Pennisi
Arte, musica e sport nella primavera di Montecarlo
A primavera il Principato di Monaco è più vivo che mai. Tanto che, non solo dalla vicina Francia ma un po’ da tutto il mondo, gli appassionati della Costa Azzurra si apprestano a passarvi le vacanze di Pasqua. Per chi ama il visivo ci sono importanti mostre come, ad esempio, quella di Picasso coronata da una soirée speciale all’Auditorium Grimaldi in occasione del quarantesimo anniversario della morte del pittore. Per chi si interessa di architettura c’è una mostra sull’urbanizzazione del piccolo Principato arroccato su un promontorio dall’Ottocento ai giorni nostri. Per gli archeologi anche una mostra sulla “conquista del fuoco”. Per gli sportivi, si svolge il rally automobilistico seguito da campionati di tennis. E per chi assapora il tempo che fu si tiene il principesco “Ballo della Rosa”.
Ma è la musica a far da padrona. Al Teatro dell’Opera, la rarissima “Amica” di Mascagni (opera su un libretto originale in francese) ed un concerto di Bryn Terfel, nonché, all’Opera e altrove, la ventinovesima edizione del festival internazionale, le Printemps des Arts de Monte-Carlo (La Primavera delle Arti di Montecarlo), una rassegna di cameristica e sinfonica che si svolge nei fine settimana dal 15 marzo in cui ogni modulo, ogni week end, ha un suo proprio argomento. Il direttore artistico Marc Monnet ha scelto di aprire e chiudere la rassegna monegasca con nove concerti in programma per il primo e il quinto weekend dedicati a Beethoven e in particolare alla esecuzione integrale delle 10 sonate per violino, delle 5 sonate per violoncello, degli 11 trii con pianoforte, arricchiti da 3 variazioni per violoncello.
Quest’anno il festival apre e chiude con Le Portrait Beethoven, un omaggio ad uno dei più grandi compositori della storia della musica, alternando lavori notissimi (come la Sonata “a Kreutzer”) ad altri meno eseguiti (i trii con pianoforte e le variazioni per violoncello). Il resto del festival è in gran misura dedicato a due compositori dell’Europa centrale ed orientale (Bartók e Stravinsky) messi a confronto con musiche di terre molto lontane (la Cambogia e l’Africa). Ci sono ragioni puntuali come il centenario della prima esecuzione del Sacre du Printemps di Stravinsky e l’approssimarsi di quello del Principe di Legno di Bartók. Ma ci sono nessi più profondi: Bartók fu uno dei primi compositori ad interessarsi sistematicamente come studioso alla musica etnica e proprio con il Sacre Stravinsky portò in Occidente la musica russa. Cosa meglio che confrontarli con la musica e le danze dell’impero cambogiano Khmer e con le danze e sinfonie congolesi, oltre che con quella che il nazismo bollò come “musica degenerata”? . Per il programma completo, consultare il sito del Printemps des Arts.
Protagonisti del primo fine settimana, a partire dal 15 marzo nel Salon Debussy dell’Hôtel de Paris, saranno il pianista François-Frédéric Guy, il violinista Tedi Papavrami e il violoncellista Xavier Phillips. All’inaugurazione di venerdì seguiranno due concerti nella giornata di sabato, ospitati nella magnifica Salle Empire dell’Hôtel de Paris, per chiudere con due appuntamenti pomeridiani domenicali all’Opéra. Tra gli interpreti dei weekend successivi, il Quartetto Arditti, il Balletto Reale della Cambogia, l’Orchestra del Teatro Mariinskij diretta da Valery Gergiev, l’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo con Frank Peter Zimmermann al violino, Mervon Mehta voce narrante e sul podio Lawrence Foster.
Con il secondo weekend del Printemps des Arts si inaugura l’omaggio a Bartók. Cinque concerti distribuiti su tutta la durata della rassegna monegasca offrono un affresco del compositore ungherese, partendo dalla musica popolare dell’Europa orientale e del Medio Oriente. La forza del suo stile, fonte inesauribile di vitalità, continua ad affascinare i musicisti e il pubblico di oggi. Per cogliere appieno lo spirito visionario di Bartók il festival monegasco propone l’esecuzione integrale dei sei quartetti di Bartók: un viaggio musicale che ripercorre le fasi evolutive della vena compositiva bartokiana e che traccia un momento fondamentale nella storia della musica per la valenza innovativa. Ad interpretarli, venerdì 22 e sabato 23 marzo (ore 20.30) nella sala Garnier dell’Hôtel de Paris, quattro formazioni di eccezionale talento: il Quartetto Arditti, conosciuto da più di 40 anni per avere eseguito tutto ciò che conta nell’ambito della musica contemporanea e tre formazioni più giovani ma già affermate in ambito internazionale quali il Quartetto Parker fondato a Boston nel 2002, il parigino Quartetto Ardeo classe 2004 e il Quartetto Anima nato nel 2005 a San Pietroburgo. Al ciclo bartokiano guardano i due compositori contemporanei Philippe Manoury (nato nel 1952), e Laurent Cuniot (classe 1957) a cui il Printemps des Arts ha commissionato due nuove opere che verranno eseguite in prima assoluta rispettivamente venerdì e sabato. “Melancolia” di Manoury sarà interpretata dal Quartetto Arditti mentre il “Sestetto con due violoncelli e due viole ‘Villa Adriana’” sarà affidato al Quartetto Ardeo, affiancato da Christophe Desjardins (viola) e da Éric-Maria Couturier (violoncello). In chiusura di questo secondo weekend, domenica 24 marzo, il “viaggio a sorpresa”: lo spettatore acquista un biglietto per partecipare ad un viaggio musicale, che si svolgerà nell’arco di una giornata, senza conoscerne né la meta né il programma musicale.
Giovedì 28 marzo, alle 20.30, a Beaulieu, nei pressi di Monte-Carlo, sarà possibile ascoltare alcune di queste magnifiche pagine, le Sonate nn. 1 e 2 e le Danze rumene di, Bartók. affidate a un duo energico capace di restituire la vitalità di queste opere: il violinista Satenik Khourdoïan (classe 1983), una delle giovani promesse formatasi ai conservatori di Marsiglia e Parigi che ha riscosso numerosi premi in Francia e all’estero e la brillante pianista Hélène Tysman (classe 1982) anche lei formatasi a Parigi e già apprezzata in Europa.
L’omaggio a Bartók prosegue sabato all’Auditorium Rainier III ore 20.30 con un programma altrettanto sfavillante Il principe di legno e il Concerto per pianoforte n. 3. Venerdì si cambia decisamente registro con la musica cambogiana e in particolare con la tradizione khmer in programma per l’appuntamento serale (ore 20.30) alla Sala Empire dell’Hôtel de Paris. Vale assolutamente la pena di ascoltare almeno una volta nella vita questi ensemble di fiati, voci e percussioni, costituiti da una decina di musicisti, capaci di produrre sonorità magiche e scintillanti del ricco patrimonio di musica tradizionale khmer. Il Balletto Reale della Cambogia, sostenuto da Sua Altezza Reale la Principessa Norodom Buppha Devi, sarà protagonista degli appuntamenti di domenica e lunedì pomeriggio allo Sporting d’Hiver.
II fine settimana successivo è dedicato a Stravinsky. Inizia con rare partiture per violino e pianoforte scritte tra il 1925 e il 1934 e affidate a Vera Novakova (violino) e a Maki Belkin (pianoforte- L’Orchestre du Théâtre Mariinsky, guidata da Valery Gergiev, è uno degli appuntamenti più attesi della rassegna monegasca) all’Auditorium Rainier III sarà possibile ascoltare una delle migliori formazioni orchestrali del panorama contemporaneo che interpreterà, nell’ambito dello stesso concerto, L’uccello di fuoco (1910), Petruška (1911) e La sagra della primavera (1913), partiture che Stravinsky compose per la celebre compagnia dei Balletti russi di Serge Diaghilev, rivoluzionando il linguaggio musicale occidentale e le abitudini di ascolto. Ispirandosi alla storia antica della Grande Russia, Stravinsky sbalordisce per l’utilizzazione dei ritmi indiavolati, primitivi e la libertà di scrittura. A Stravinsky vengono giustapposte musiche e danze congolesi, interpretate da. L’Orchestre Symphonique Kimbanguiste, e la “musica degenerata” di Schönberg, Hindemith, Schreker, Weill, interpretata dall’Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, affiancata da Frank Peter Zimmermann al violino e da Mervon Mehta voce narrante, sul podio Lawrence Foster.
L’ultimo dei cinque concerti che compongono il Portrait Bartók, nell’ambito dell’edizione 2013 del festival monegasco, propone venerdì 12 aprile ore 20.30 presso l’Auditorium Rainier III la vena espressionista del “Mandarin merveilleuxe” e dei “Quatre pièces pour orchestre op. 12” affidati all’Orchestra Filarmonica e al Coro dell’Opera di Nizza alla guida di Philippe Auguin. Alla forza tellurica delle pagine bartokiane fanno da contraltare le atmosfere più intimiste di Beethoven che chiudono sabato e domenica questa ventinovesima edizione. Il pianista François-Frédéric Guy, il violinista Tedi Papavrami e il violoncellista Xavier Phillips, protagonisti del primo weekend, tornano a solcare le scene del festival per completare il Portrait Beethoven con quattro concerti dedicati alle sonate per violino, violoncello e ai trii con pianoforte. Il finale include capolavori come le due ultime sonate per violoncello op. 102, la Sonata “a Kreutzer” e il “Trio dell’Arciduca”. La sonata “a Kreutzer” è tra le composizioni più amate dal pubblico e prediletta dai virtuosi per il grande impegno tecnico ed espressivo richiesto; ad essa si è ispirato anche Tolstoj, scrivendo un omonimo racconto. Il trio op. 97, composto intorno al 1811 e dedicato all’arciduca Rodolfo d’Asburgo, suo allievo e principale mecenate, si sviluppa in quattro movimenti abbastanza ampi, dalla scrittura intensa ed espressiva.

martedì 26 febbraio 2013

Quando il Reno diventa d’oro in Il Velino 27 febbraio



Quando il Reno diventa d’oro
Omaggio a Wagner (di cui ricorre il bicentenario dalla nascita) da parte dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
di Hans Sachs - 26 febbraio 2013 17:12 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
L'omaggio a Wagner (di cui ricorre il bicentenario dalla nascita) da parte dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia è stato offrire al pubblico romano, ed a coloro accorsi a Roma per l'occasione, la produzione in forma di concerto de ‘L’Oro del Reno’ con una formazione analoga a quella che in luglio si ascolterà a Bayreuth (e che nella cittadina della Baviera settentrionale resterà in scena per quattro anni) . Alla prima del 23 febbraio seguono due repliche il 25 ed il 27 febbraio. Dirige il giovane siberiano Kirill Petrenko, che nel 2010 entusiasmò il pubblico romano con la sua concertazione di Stravinski e Šostakovi . A soli 27 anni Petrenko è balzato agli onori della cronaca musicale per aver eseguito l’intera Tetralogia in quattro serate consecutive con quattro differenti orchestre (una vera esibizione di virtuosismo). Interpreti di rango sono impegnati in questa produzione dell’Accademia come Wolfgang Koch (Wotan) Martin Tzonev (Donner) Endrik Wottrich (Froh) Peter Galliard (Loge) Andreas Scheibner (Alberich) Kurt Azesberger (Mime) Roman Astakhov (Fasolt) Dirk Aleschus (Fafner) Ulrike Helzel (Fricka) Nina Bernsteiner (Freia) Andrea Bönig (Erda) Talia Or (Woglinde) Dagmar Peckova (Wellgunde) Hermine Haselböck (Flosshilde). A Bayreuth, l’allestimento scenico (sui cui contenuti vige il top secret) verrà firmato da Frank Castorf, uno dei più apprezzati registi della Germania federale Ero alla ‘prima’, il 23 febbraio. Dopo due ore e mezza di silenzio assoluto in quanto irretito dalla magia dell’orchestra e delle voci, il pubblico dell’Accademia (di solito compassato e frettoloso) è esploso in quindici minuti di applausi, seguiti da una lunga standing ovation – tutti in piedi ad applaudire. Il chroniqueur ha il dovere di spiegare ai lettori il perché. In primo luogo, come diceva il mai troppo compianto Giuseppe Sinopoli, “eseguire Wagner in forma di concerto non è una maniera per risparmiare le scene ma un modo molto profondo per liberarsi dal e raggiungere una comprensione più esaltante , più visionaria del tutto”. Ciò si applica specialmente a ‘L’Oro del Reno’ il cui testo comporta cambiamenti di ambiente a scena aperta (dalle profondità del fiume, alle vette del Regno dei Dei , alle viscere della terra dove regnano i nani e di nuovo nelle montagne degli elfi bianchi), trasformazioni a vista , elementi primordiali e via discorrendo. Delle numerose edizioni che ho visto soltanto poche sono riuscite a rendere in forma scenica il significato del tutto. In secondo luogo, Petrenko, che tra breve sarà Generalmusikdirektor della Staatsoper di Monaco di Baviera e che tra il 2002 ed il 2007 ha fatto diventare quello che era un teatro secondario (la Komische Oper di Berlino) uno dei più importanti palcoscenici della Germania, ha concertato l’opera in modo straordinario. A questo punto, occorre dare ai lettori un termine di paragone. ‘L’Oro del Reno’ è – come è noto- il ‘Prologo’ in un atto della tetralogia ‘L’Anello del Nibelungo’. Nel ‘Prologo’- come è d’uopo- si presentano i caratteri fondanti di tutto il lavoro: la brama di potere che porta alla trasgressione delle regole e , quindi, al crepuscolo ed alla fine delle antiche divinità germaniche, la maledizione che il potere comporta, la rinuncia all’amore per avere il potere, l’esigenza di un ‘redentore’ innocente per andare verso un mondo nuovo e differente, la presenza costante della natura delle foreste, dei boschi, delle radure, delle acque, e via discorrendo. Esistono un’ottantina di versioni discografiche tramite le quali raffrontare gli stili personalissimi dei maestri concertatori, alcuni dei quali hanno cambiato approccio negli anni – ad esempio, Mehta, a Firenze, ha offerto una lettura maestosa nel 1979-82 ed una romantica nel 2006-2009. Sin dalle prime battute (il misterioso mi bemolle dei contrabbassi ai cui si unisce, nei fagotti, la quinta, si bemolle, e alla 17 battuta un leggero e progressivo moto fluttuante ), ci accorgiamo che non siamo in una lettura eroica alla Furtwängler , o intimista alla Karajan , o psicoanalitica alla Sinopoli (per citare soltanto alcune delle più note) ma ad una interpretazione simile a quella effettuata negli studi della Decca tra la fine degli Anni Cinquanta all’inizio degli Anni Sessanta da Solti con la Filarmonica di Vienna in pieno fulgore ed un cast d’eccezione – un prodigio tecnologico (curato da John Cushlaw ) che segnò una svolta nella stereofonia ma anche un miracolo musicale che mostrò, pure grazie ad un cast eccezionale, un Oro del Reno (ed un Anello del Nibelungo) cesellato, quasi cameristico, ma con volume sonoro ampio e spaziato. E’ questo il tratto della edizione di Petrenko, possibile grazie all’ampio spazio dell’Auditorium Santa Cecilia a Roma –ed in estate a quello di Bayreuth- che rendono fattibili sia effetti stereofonici (ad esempio, nella scena di Erda e nella discesa al mondo dei Nibelunghi e nelle successiva ascesa all’altopiano degli Dei), nonché ad un cast eccezionale perché scelto con molta cura tra specialisti dei vari ruoli. In sintesi, una grande esperienza emotiva,oltre che musicale, per chi in sala alle recite romane e per chi avrà la fortuna di andare a Bayreuth. Senza dubbio, ne uscirà, un CD ed un DVD.