giovedì 31 gennaio 2013

la lezione di Varlam Šalomov: se essere innocenti è una colpa in Il Sussidiario 1 febbraio



LETTURE/ la lezione di Varlam Šalomov: se essere innocenti è una colpa
LETTURE/ la lezione di Varlam Šalomov: se essere innocenti è una colpa
venerdì 1 febbraio 2013
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NEWS Cultura
Esce in questi giorni il volume di Luigi Fenizi Varlam Šalomov: Storia di un colpevole d’innocenza (Scienze e Lettere, Roma 2012). Per mera coincidenza, sempre in questi giorni al Teatro dell’Opera di Roma è in scena Il Naso di Dmitrij Šostakovic (Il Sussidiario del 30 gennaio). C’è un nesso forte tra i due lavori: sia Šalomov sia Šostakovic erano geni precoci che avevano abbracciato il comunismo inteso come rinnovamento ed equità sociale coniugata con libertà. Il poeta e scrittore soffrì la regione più disperata della Siberia e la schiavitù. Il compositore venne discriminato proprio dopo le prime 14 recite de Il Naso a 24 anni e messo al bando qualche anno dopo non appena venne in scena la sua seconda opera per il teatro.
Nonostante Šostakovic si fosse gradualmente allineato, e da patriota avesse composto la Settima Sinfonia (in programma a Roma a fine maggio) sui novecento giorni di assedio di Leningrado, rimase per tutta la vita marcato dal peso dello stalinismo. Differente, e molto più crudele, il fato di Šalomov: tre finti processi, torture, umiliazioni, discriminazione (anche dopo la fine della pena), povertà. Non sta certo a me raccontare le vicende della vita di Šalomov; il libro lo fa perfettamente e brillantemente. Dovrebbe essere letto nelle facoltà di scienze politiche e sociali perché, come ricorda Luciano Pellicani nella sua postfazione, è un’analisi asettica, e quindi tanto più spietata, dei “farisei della giustizia”. 
Né Fenizi né Pellicani ricordano che, negli anni delle purghe di Mosca, uno dei protagonisti del “fariseismo della giustizia” fu Palmiro Togliatti, come documentato da Elena Aga Rossi e Viktor Zavlasky nel loro libro Togliatti e Stalin (2007). Ancora meno sono coloro che rammentano che dopo cosiddetta la svolta di Salerno, Togliatti fu quattro volte ministro della Giustizia, per legge assunse, senza concorso, 400 avvocati (tutti vicini al Pci) come magistrati, e che inizialmente la scuola delle Frattocchie era dedicata alla preparazione ai concorsi per la magistratura in modo che i futuri magistrati “organici” al Partito venissero selezionati da commissari anche essi “organici”. Negli anni di Mosca, il leader del Pci aveva appreso che il commissario del popolo alla Giustizia aveva un potere maggiore di quello dello stesso Stalin e che, nell’Italia assegnata all’Occidente dal vertice di Yalta, erano necessari “farisei della giustizia” per detenere il potere effettivo, senza averne le relative responsabilità politiche di fronte all’elettorato. Il libro di Fenizi ci illustra come utilizzare tale potere. 
Questo è il quinto volume di una serie iniziata da Luigi Fenizi diciotto anni fa. Il primo saggio è Il secolo crudele, un’originale rilettura del Novecento (e dalla violenza di massa che lo ha caratterizzato) tramite una serie di dialoghi immaginari tra lo stesso Fenizi e alcuni protagonisti (non necessariamente più noti) del secolo che allora stava chiudendosi. Il secondo, Icaro è caduto. Parabola storica dell’utopia moderna, è un’esplorazione della valenza dell’utopia, pure politica, all’inizio del secolo appena cominciato. Con La condizione assurda. Albert Camus, il Male e io Fenizi sviscera Camus, i suoi lavori teorici, il suo teatro ed i suoi romanzi per individuarne la sua attualità all’epoca che, singolarmente e come società, stiamo vivendo. L’autore riflette la propria immagine. Con Lo specchio infranto. Sguardi, metafore, enigmi troviamo il mito (da quello di Dioniso a quello di Narciso), il contrasto tra il sacro e il profano, le ombre ed i riflessi, il genio e la sregolatezza, la ricerca dell’amore, la malinconia. Troviamo anche la morte, che non ha però la connotazione della trasformazione/ trasfigurazione verso un aldilà dove si deve dare conto del proprio operato, di quanto si è fatto per sé stessi e,  soprattutto, per gli altri. È unicamente una “sospensione di un solo attimo” perché nel resto dell’esistenza “è sempre la necessità che ci domina”.
Luigi Fenizi non è uno storico di professione. Consigliere parlamentare dal 1974 al 2009, è un saggista di cultura politica (ha collaborato ad Astrolabio, Tempo Presente, Nuovi Studi Politici, Mondoperaio) la cui avventura umana è segnata dall’essere stato colto, ancora giovanissimo, da una malattia rara che lo ha paralizzando totalmente (impedendogli ogni movimento, anche solo un cenno del volto e bloccandogli quindi qualsiasi possibilità di espressione), mantendogli però intatte le facoltà intellettuali. Vive dal 1991 su una sedia a rotelle, ma lavora ed ha ripreso a scrivere. Se ne La condizione assurda. Albert Camus, il Male e io raccontava la tortura individuale che viene dall’immobilità, in quinto suo quinto libro racconta l’assurdo politico e giudiziario. Da esistenziale, l’assurdo diventa quello di una intera società.


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Un nuovo Macbeth apre la stagione del Comunale di Bologna in Il Velino del 31 gennaio



Un nuovo Macbeth apre la stagione del Comunale di Bologna

Sotto le due Torri la “versione di riferimento”, quella di Parigi del 1865 senza i ballabili

di Hans Sachs - 31 gennaio 2013 21:00 fonte ilVelino/AGV NEWS Roma
Buone notizie per gli appassionati di musica di Bologna e non solo. Il 5 febbraio inizia la stagione del Teatro Comunale con un nuovo allestimento di Macbeth di Verdi curato da Robert Wilson con la direzione musicale di Roberto Abbado (interpreti principali: Dario Solari, Tatiana Serjan, Roberto De Biasio, Gabriele Mangione). E il 16 marzo inizia la XXXI edizione del Bologna Festival con un concerto di Daniel Harding (la sezione speciale per le scuole è già in corso dal 20 gennaio). La stagione 2013 offre un cartellone ricco che comprende otto titoli ed un omaggio a Bruno Maderna. Macbeth giunge in un allestimento di Robert Wilson co-prodotto con il Teatro Municipal di San Paolo; è la prima occasione di vederlo in Europa. Dalle foto di scena delle prove si nota un tratto in comune con l’edizione della stessa opera che il Comunale di Bologna presentò nel giugno 2005; allora la regia di Micha von Hoecke presentò una produzione (in collaborazione con Trieste e Ravenna ispirata al Teatro No giapponese). L’allestimento di Bob Wilson pare ancora una volta ispirato al Giappone, ma al Kabuki. Quale Macbeth” ascolteremo e vedremo dal 5 al 12 febbraio ? Pochi sanno che i Macbeth verdiani sono tre: quello del 1847 che ebbe la prima al Teatro La Pergola di Firenze; quello del 1865, fortemente rimaneggiato, per il Théâtre Lyrique di Parigi e aggiornato di nuovo per La Scala nel 1874. L’edizione del 1874 è raramente citata nelle stesse storie delle musica e viene messa in scena solo di tanto in tanto: se ben ricordo, l’ultima volta che è stata vista è circa un lustro fa allo Sferisterio Festival di Macerata. L’edizione del 1847 è stata vista a Spoleto alcuni anni fa e verrà riproposta alla Scala tra alcuni mesi. Riccardo Muti e il regista Peter Stein hanno presentato a Salisburgo e a Roma una combinazione della versione del 1847 e di quella del 1865.

Quindi, per molti aspetti un “unicum” che forse entrerà in repertorio all’Opera di Vienna. A Bologna, viene presentata la ‘versione di riferimento’, ossia quella di Parigi del 1865, senza i ballabili, che peraltro, vennero aggiunti per soddisfare il pubblico francese. Macbeth è la più breve e più compatta tragedia di Shakespeare. Narra della cruenta ascesa del protagonista, istigato dalla moglie, al potere assoluto e della sua successiva caduta. Quindi, sangue e guerra, nonché follia. A mezza strada tra un melodramma donizettiano (la prima versione) e un dramma in musica prossimo a Don Carlo, Aida”e Otello (la terza versione), senza un ruolo importante per un tenore spinto, con un soprano drammatico il cui registro deve sfiorare quello del contralto, l’opera ha avuto nell’Ottocento un successo intenso, ma breve. Sparì dai cartelloni verso il 1880. Venne rilanciata da un’edizione strepitosa diretta da Vittorio Gui e successivamente dalla proposizione alla Scala il 7 dicembre 1952 con Victor De Sabata nel podio e Maria Callas protagonista. Quasi contemporaneamente Luchino Visconti ne fece una memorabile edizione al Festival dei Due Mondi a Spoleto, proprio della versione ‘di riferimento’ che vedremo a Bologna. Macbeth è opera difficile. Nel suo epistolario, Verdi richiedeva “voci efficaci, anche se non belle”. La Lady interpretata da Tatiana Serjan che è stata protagonista a Bologna nel 2005 e che Muti ha voluto a Salisburgo e a Roma: piena di temperamento scenico; nella scena del sonnambulismo di rilievo il suo Sì bemolle in pianissimo. Dario Solari ha dato di recente un’ottima prova nel ruolo del protagonista a Jesi ed a Genova: è un Macbeth che controlla gli acuti e opta per il sussurrato in intere scene.

Un sexless Macbeth e la sua lady in Formiche 31 gennaio



Un sexless Macbeth e la sua lady

31 - 01 - 2013Giuseppe Pennisi
Un sexless Macbeth e la sua lady
La ‘stagione’ 2013 del Teatro Comunale di Bologna apre in ritardo rispetto a quelle di altre fondazioni liriche a ragione degli impegni di Robert Wilson con un nuovo allestimento di Macbeth di Giuseppe Verdi. La direzione musicale è di Roberto Abbado mentre gli interpreti principali sono Dario Solari, Tatiana Serjan, Roberto De Biasio, Gabriele Mangione.
Pur se si tratta di un’opera giovanile (Verdi non aveva trent’anni quando il lavoro debuttò, al pari di Simon Boccanegra e Don Carlo), è un lavoro che il compositore amava moltissimo tanto che, nell’arco di quasi tre decenni, ne compose tre differenti edizioni, molto differenti tra loro. E’ anche una delle opere più ‘gettonate’ nell’anno in cui si celebra il bicentenario. In effetti, i Macbeth verdiani sono tre oppure quattro se si conta il mixage realizzato da Riccardo Muti della seconda e della terza versione per Salisburgo e Roma. Nel 1847 Macbeth ebbe la prima mondiale al Teatro La Pergola di Firenze; nel 1865, fortemente rimaneggiato, venne presentato al Théâtre Lyrique di Parigi; venne aggiornato di nuovo per La Scala nel 1874. Il primo è di stampo donizettiano. Il secondo in omaggio al gusto francese includeva lunghi ballalibili. Il terzo rispecchia il cambiamento di stile di Verdi, dopo Aida ed anticipa Otello.
A Bologna si vedrà ed ascolterà ‘la versione di riferimento’, ossia quella del 1865 in traduzione ritmica italiana e senza ballabili. Nel corso dell’Ottocento, l’opera venne anche vista con occhi differenti dal pubblico. Dopo il 1850, puntando sul coro con cui inizia il quarto atto Oh, Patria Oppressa degli scozzesi esuli in Inghilterra si tenne a dare un tono ‘risorgimentale’ , nonostante l’opera fosse stata commissionata dal Granducato di Toscana e rilanciata nel Secondo Impero francese. Nel Novecento, si è posto l’accento sulla sete di potere: il lavoro ha anche ispirato film come Il Trono di Sangue di Kurosawa.
A mio avviso, pure se la brama di potere è importante in Macbeth (tanto in Shakespeare quanto in Verdi), non è l’aspetto centrale. Le opera di Verdi sul potere sarebbero giunte più tardi: Boccanegra, Don Carlo, Aida. Nel 1847, Verdi era torturato da un dramma più profondo: avere perso i due figli in culla e sapere di non potere averne più. Lo mostra a tutto tondo la scena in cui vede la discendenza (senza suoi figli), la scena del sonnambulismo e pazzia della Lady e tra i due senza ombra di attrazione carnale. In Shakespeare, la Lady chiede di diventare “sexless, remorseless and resolute”. Nella tragedia shakespeariana, Macbeth e la Lady compiono l’estremo sacrificio – non avere figli, anzi essere asessuati (Lady Macbeth invoca “unsex me”) – pur di arrivare al potere assoluto. Nel libretto di Piave e soprattutto nella musica di Verdi, questo tema resta nel “Di figli è privo” scandito in tono robusto da Macduff. Il buon Francesco Maria Piave non riuscì a verseggiare e molto di più ed il pubblico perbenista italiano e francese dell’Ottocento avrebbe avuto difficoltà a comprendere. Anche proprio in quel periodo Wagner stava lavorando ad una tetralogia in cui il nano nero Alberico rinuncia ad amore e sesso per avere l’oro che dà il potere assoluto.
In questa chiave, il vero centro del lavoro è una patologia che porta all’ossessione per un potere (che non si può tramandare) proprio a ragione del rapporto asessuato tra Macbeth e la sua Lady. E’ una lettura moderna ma corretta. L’ho visto in regie di Nekrosius (del 2002) e di Brockaus (della fine degli Anni Novanta, ma ripresa di recente a Jesi, Genova e Trieste). Vedremo in che misura la colgono le geografie simmetriche di Bob Wilson

mercoledì 30 gennaio 2013

Enrique Mazzola: un italiano a Mosca in QuatidianoArte 31 gennaio


giovedì 31 gennaio 2013
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A Mosca, Teatro Bolshoi, dal 6 al 15 marzo 2013 con La sonnambula di Bellini
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Enrique Mazzola: un italiano a Mosca
Giuseppe Pennisi
Cresce il numero dei maestri concertatori italiani che lavorano principalmente all’estero.
Dal 6 al 15 marzo 2013, Enrique Mazzola ritornerà a Mosca, questa volta nella Stagione operistica del Teatro Bolshoi, nella cui Sala Nuova dirigerà La sonnambula di Bellini, con una regia firmata da Pier Luigi Pizzi. Questo è un ritorno a Mosca per il Maestro italiano, dopo il successo ottenuto dalla sua interpretazione del Barbiere di Siviglia, nell’edizione critica, nel 1998 allo Helicon Opera cui sono seguite, dal 2004, numerose collaborazioni con le più importanti orchestre della Federazione Russa.
Gli appuntamenti con Mazzola a marzo non finiscono qui: Sky Classica trasmetterà un suo concerto di brani di Wagner, Liszt, Scriabin, Rachmaninovf, alla testa dell’Orchestre National de l’Ile de France, di cui è il nuovo Direttore Musicale.
“La prossima produzione de La sonnambula è una vera perla, nella mia stagione musicale”, ha commentato di recente il Maestro in un’intervista a «Radio France».
Guardando all’intera stagione del direttore italiano, si direbbe che la sua intera stagione sia particolarmente degna di nota: in ottobre 2012, ha diretto il concerto inaugurale dell’ONDIF (l’Orchestre Naazional de l’Ile de France) alla Sale Pleyel di Parigi; in febbraio sarà al debutto sinfonico con la London Philharmonic Orchestra, a seguito delle collaborazioni con il Glyndebourne Festival; una collaborazione che si rinnoverà nell’estate con una ripresa dello stesso Don Pasquale.
Conosciuto anche per il suo impegno con le giovani generazioni di musicisti e per la sua passione per la musica del nostro tempo, è stato ascoltato di recente a Milano in occasione della sua prova donizettina al Teatro alla Scala di Milano (Don Pasquale, giugno-luglio 2012).
Di sangue spagnolo e cultura italiana, Enrique Mazzola, nato a Barcellona e cresciuto a Milano, intraprende la carriera musicale a 7 anni, quale solista nel Wozzeck di Berg al Teatro alla Scala.
Europeo per vocazione, vive tra Berlino, Parigi e Montepulciano.