mercoledì 28 novembre 2012

Il doppio debutto romano: si inizia con il “Simon Boccanegra” di Giuseppe Verdi in Il Sussidiario del 29 novembre



OPERA/ Il doppio debutto romano: si inizia con il “Simon Boccanegra” di Giuseppe Verdi
giovedì 29 novembre 2012
OPERA/ Il doppio debutto romano: si inizia con il “Simon Boccanegra” di Giuseppe VerdiUn momento del Simon Boccanegra
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La sera del 27 novembre con “Simon Boccanegra” di Giuseppe Verdi, alla Presenza del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché di vari Ministri e del Sindaco, avrà luogo un doppio debutto al Teatro dell’Opera di Roma: da un lato una stagione lirica con un cartellone che pone il teatro romano come rivale della Scala, dall'altra Riccardo Muti che, a 71 anni, si cimenta nella concertazione di una delle più complesse opere di Giuseppe Verdi. Un breve cenno all’opera, dimenticata per diversi decenni sino a quando negli Anni Sessanta e Settanta Gianandrea Gavazzeni e Claudio Abbado dimostrarono che è delle più importanti del catalogo verdiano. Simon Boccanegra è il primo doge di Genova nel periodo storico di transito dal Medioevo al Rinascimento.
L’opera è stata una delle più “maledette” tra le “opere maledette” di Verdi. Fu un tonfo alla “prima” alla Fenice nel 1857 e, rimaneggiata nel libretto e nella musica, ebbe esiti modesti nelle riprese a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Ripensata, con l’aiuto di Arrigo Boito che rimise mano a parti essenziali del libretto, fu un successo di breve durata quando la versione, adesso corrente, raggiunse La Scala nel 1881. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, venne dimenticata. Gino Marinuzzi, consapevole che si trattasse di un capolavoro unico nel teatro verdiano ed europeo più in generale, tentò di rilanciarla, a Roma, nel 1934.
Da allora, “Boccanegra” ha ripreso un lento cammino, giungendo alla consacrazione internazionale vera e propria  grazie a due edizioni eccellenti, ma molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale (ascoltabile in un mirabile cd della Rca, nettamente superiore a una versione sempre curata da Gavazzeni pochi anni prima), e quella di Claudio Abbado, invece, dolce, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine) che in un allestimento di Strehler e Frigerio ha viaggiato a Londra, Parigi, Mosca, Washington e Vienna ed è disponibile in cd e in dvd. Vidi la versione “Abbado” nel 1976 a Washington quando vi venne portata in tournée dalla Scala in occasione del bicentenario dell’indipendenza Usa. Ho anche visto, a Firenze, una seconda edizione “Abbado”, con la regia di Peter Stein, concepita per il Festival di Salisburgo del 2000. A differenza dell’edizione del 1971 in cui , in un gioco di luci, dominava la brezza marina, mentre oggi elementi scenici essenziali e la recitazione raffinata contrappuntano l’apologo del potere e dell’amore paterno nel viaggio di Simone verso la morte. Abbado dava  all’opera una tinta soffusa, notturna, sofferente e commossa, priva forse delle evocazioni marine ma ancora più distante dalla lettura di Gavazzeni (o di quelle di Fabio Luisi e Bruno Bartoletti, ascoltate di recente). In breve, Muti gareggia con due giganti. Non includo nel novero Michele Mariotti che pochi anni fa, affrontò l’opera nel 2007 a Bologna  a 28 anni, troppo giovane per carpirne i maturi segreti.
È anche una delle opere più apertamente “politiche” di Verdi. Le diverse versioni di “Boccanegra” e l’epistolario del maestro di Busseto, rivelano come Verdi fosse un partecipante entusiasta al movimento di unità nazionale, ma diventasse progressivamente deluso da una “politica politicante”,come il protagonista del romanzo incompiuto “L’imperio” di Federico De Roberto, sempre più distante dalla sua visione lungimirante. Nella scena-chiave di “Boccanegra”, il doge fa proprio l’appello di Francesco Petrarca di porre fine alle guerre tra le repubbliche di Genova e di Venezia allo scopo di lavorare insieme per un’Italia libera, ma non è compreso né dai patrizi né dai plebei. Ciò innesca l’intrigo che porta alla catarsi finale. “Boccanegra” (i cui temi “politici” in parte verranno ripresi in “Don Carlo” e in “Otello”) svela un rapporto tormentato con la politica analogo a quello con la religione: la visione a lungo raggio della Politica con la “p” maiuscola e i programmi per realizzarla vengono bloccati da una politica con la “p” minuscola ridotta a intrighi.
Nell’edizione in scena a Roma,  Muti offre un ‘Boccanegra’ per molti aspetti simile a quello che nel 2000 Abbado presentò a Salisburgo . Una tinta orchestrale cupa ammorbidita dal richiamo alle onde del mare, che per il protagonista vuole dire libertà. Ottimi i fiati e gli ottoni. La regia di Adrian Noble, le scene rinascimentali di Dante Ferretti, e la curata la recitazione rendono lo spettacolo di livello e giustificano le vere e proprie ovazioni al calar del sipario. Il baritono romeno George Petean è un Doge statuario con una vocalità ben distante da quelle delle altre tra voci gravi -  Quinn Kelsey,  Riccardo Zanellato e Dmitry Beloselskiy -, cuore della parte politica. Francesco Meli e Maria Agresta sono efficaci e toccanti nella giovane coppia al centro della parte privata. All’applausometro, Meli ed Agresta hanno trionfato sugli altri.


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OPERA, A ROMA LA “MALEDIZIONE” DI SIMON BOCCANEGRA in Il Velino del 29 novembre



OPERA, A ROMA LA “MALEDIZIONE” DI SIMON BOCCANEGRA

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Roma - Alla presenza del Capo dello Stato, del presidente del Consiglio, di svariati ministri e del sindaco Gianni Alemanno, il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato ieri sera la stagione 2012-2013 con “Simon Boccanegra”, una delle opere “maledette” di Giuseppe Verdi. Fu un tonfo alla “prima” a La Fenice nel 1857; rimaneggiata, ebbe esiti modesti a Reggio Emilia, Milano, Napoli e Firenze nel 1858-59. Riconcepita, con l’aiuto di Arrigo Boito, fu un successo di breve durata quando la versione adesso corrente raggiunse La Scala nel 1881. Dal 1934, quando venne rilanciata a Roma, è giunta gradualmente alla consacrazione internazionale all’inizio degli anni ‘70 grazie a due edizioni molto differenti: quella di Gianandrea Gavazzeni, tragica, cupa, quasi infernale e quella di Claudio Abbado, densa di colori chiari e di volumi leggeri (impareggiabili le evocazioni marine); nel 2000, Abbado ‘rilesse’ “Boccanegra” al Festival di Salisburgo: una tinta più scura ammorbidita dalla brezza marina. La “maledizione” è da imputarsi non solo a un libretto intricatissimo ma anche e soprattutto ad una partitura bifronte, rivolta lanciata verso l’avvenire (si pensi all’impiego dei fagotti e del clarinetto basso impensabili se Verdi non avesse ascoltatola la musica di Wagner), pur se rivolta ancora verso il passato. Ciò rende particolarmente difficile la direzione musicale del lavoro. Tanto che un verdiano come Riccardo Muti ha deciso di affrontarlo a 71 anni proprio per questa inaugurazione romana. Arduo inoltre trovare tre voci gravi (ciascuna, però, differente dall’altra) per i tre protagonisti maschili.

L’intreccio è un sofferto apologo. Nella Genova del Duecento, il 25enne Simone, uomo del mare, entra in politica nella speranza di sposare, tramite l’ascesa sociale, la donna amata, una patrizia. Diventa Doge ma la sua donna muore e la loro figlia viene rapita. Per un quarto di secolo esercita il potere diventando sempre più solo e più lontano (anche dal mare). Quando ritrova la figlia e scopre affetto paterno per il giovane di cui lei è innamorata, il potere lo annienta, proprio mentre sta per riavvicinarsi definitivamente al suo mare. A questo dramma “privato”, se ne affianca uno “pubblico”: l’appello alla fine delle guerre tra Genova e Venezia ed il sogno di un’Italia unita innescano i tradimenti e la catarsi finale, illuminata, però, dalla speranza che il giovane genero potrà proseguire il cammino tracciato. Il significato dell’apologo è semplice: un giovane imprenditore è indotto a “scendere in campo” per sposare la donna che ama, ma gli intrighi della politica gli distruggono la vita privata perde la promessa sposa prima delle nozze, gli viene rapita la figlia. Quando ritrova la figlia e la vita, dopo 25 anni, sembra diventare serena, di nuovo gli intrighi lo uccidono. Verdi sentiva in modo particolarmente forte il dramma paterno avendo perso i propri figli bambini.

Sotto l’aspetto scenico e drammaturgico, Dante Ferretti e Adrian Noble presentano una versione tradizionale ma di lusso, molto differente da quella stilizzata vista tra il 2007 ed il 2010 a Bologna, Reggio Emilia, Palermo e Parma. Siamo decisamente in una Genova dell’inizio del Rinascimento, con qualche accenno alla futura industrializzazione. Stupendi i costumi di Maurizio Milenotti. Scene molto belle ispirate alla pittura vedutista. Molto curata la recitazione. Sotto il profilo musicale, Muti appare vicino alla seconda lettura data all’opera di Abbado. Anche se con una bacchetta personalissima: si pensi all’impiego dei fagotti e del clarinetto basso, inconcepibile senza l’esperienza wagneriana, in particolare del “Tristan und Isolde”. Sfoltito da tutti i ciarpami tipici del melodramma, “Boccanegra” altro non è davvero un sofferto apologo. La regia di Adrian Noble, le monumentali scene rinascimentali di Dante Ferretti, e la curata la recitazione rendono lo spettacolo di livello e giustificano le vere e proprie ovazioni al calar del sipario. Il baritono romeno George Petean è un Doge statuario con una vocalità ben distante da quelle delle altre tra voci gravi- Quinn Kalsey, Riccardo Zanellato e Dmitry Belosolkiy, cuore della parte politica. Francesco Meli e Maria Agresta sono efficaci e toccanti nella giovane coppia al centro della parte privata. All’applausometro, Meli ed Agresta hanno trionfato sugli altri.   (ilVelino/AGV)
(Hans Sachs) 28 Novembre 2012 14:53

NATALE NEL TIROLO CON GRANDE MUSICA in Quotidiano Arte 29 novembre



NATALE NEL TIROLO CON GRANDE MUSICA
Giuseppe Pennisi



Nell’anno del bicentenario wagneriano, pochi si ricordano che un compositore e direttore d’orchestra di Salisburgo (che però vive gran parte dell’anno in Garfagnana), Gustav Kuhn, è l’unico al mondo che , al pari di Wagner, è riuscito a farsi costruire un teatro tutto per sé: siamo in grado di mostrare le immagini del manufatto
E’ stato costruito a Erl (1400 abitanti) situata strategicamente a 80 chilometri da Monaco di Baviera ed a (80) da Salisburgo. Da oltre 15 anni Kuhn organizza un festival di musica lirica, sinfonica e cameristica in un edificio costruito quasi cinquanta anni orsono per ospitare ogni sette anni una sacra rappresentazione della Passione a cui partecipa tutto il villaggio. Il Festival estivo ha ormai una grande reputazione internazionale. Il 26 dicembre viene inaugurato un teatro nuovo di zecca (finanziato dagli enti locali e da imprese) per ospitare il festival invernale, in grande parte sinfonico ma anche lirico. Nell’anno del bicentario di Wagner e Verdi, Kuhn fa un inchino al Maestro di Busseto , presentando come prima opera Nabucco e proponendo per il Festival Estivo la Trilogia Popolare (Rigoletto, Trovatore e Traviata). Il Ring tornerà nel 2014.
Arriva a Erl anche Wolfang Amadeus Mozart. Nei prossimi tre anni il Festival del Tirolo Erl amplieràlteriormente il programma lirico previsto per il Festspielhaus iniziando dalle tre opere dapontiane - Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così Fan tutte. La prima stagione invernale si apriràulle note del Figaro mozartiano diretto dal maestro Gustav Kuhn il quale affida scenografia e costumi rispettivamente a Jan Hax Halama e Lenka Radecky. La messinscena sviluppata per la maggior parte in workshop svoltisi presso l’Accademia di Montegral, nei pressi di Lucca, e presentata in due anteprime a Trento - ha sorpreso tutti i partecipanti grazie alla particolare accuratezza dedicata alla direzione di attori. A novembre si continuerà lavorare di lima all’allestimento scenico in maniera tale da poter presentare in occasione della stagione di apertura del Festspielhaus il nuovo Mozart nel migliore dei modi.

 Il Festival del Tirolo Erl non sarebbe degno del suo nome se non si fosse preposto l’obiettivo di mettere a nudo il Mozart originale il che significa niente sussurrii esangui ma interpretazioni canore risolute, niente amoreggiamenti manierati in stile rococò ma sano erotismo sensuale ma raffinato, teatrale ma senza propendere obbligatoriamente alla mera ricerca dell’effetto. Il Mozart di Erl diventeà un compositore storico-critico e pur tuttavia pragmatico ossia che sfrutteà a suo vantaggio il fatto che il festival ed i suoi artisti mai hanno voluto eguagliarsi al genio.

 

lunedì 26 novembre 2012

Ma va ridefinita anche la «svendita» greca in Avvenire del 27 novembre



l’analisi Ma va ridefinita anche la «svendita» greca


N on era diffi­cile preve­dere come sarebbe finita l’enne­sima riunione del­l’Eurogruppo sulla Grecia: un «default» mascherato e con­cordato da un lato e l’ammissione di erro­ri di diagnosi (e di te­rapia) commessi dalla troika dall’al­tro.

Nessuno ne esce bene. La Ue avreb­be forse dovuto accettare le racco­mandazioni dell’Eurostat (secondo cui 13 anni fa la Grecia non aveva le premesse per fare parte dell’Unione monetaria). E la troika avrebbe dovu­to fare le proprie analisi con maggio­re cura. Nella maratona negoziale, in ogni caso, i ministri hanno fatto dei progressi: l’Eurogruppo ha identifi­cato un pacchetto di misure credibi­li per contribuire in modo sostanzia­le alla sostenibilità del debito greco, in sostanza un default in maschera, e la correzione di errori commessi dalla stessa troika nei piani precedenti.

In primo luogo, nella storia anche re­cente le insolvenze di debiti sovrani sono frequentissime: basti pensare a quelle dell’America Latina un quarto di secolo fa e di quelle dell’Asia a ca­vallo tra il Ventesimo e Ventunesimo Secolo. Si sono verificate anche al­l’interno di unioni monetarie tra Pae­si sviluppati (frequentissime in quel­le tra Paesi in via di sviluppo). Nell’u­nione monetaria latina (che durò dal 1865 al 1927) erano attutite, special­mente in tema di eventuale contagio, dal moneta unica (che operava, a tas­so fisso, in parallelo con le monete na­zionali). Negli Usa, dove si verificano veri e propri «fallimenti» di Stati del­l’Unione, i crac hanno effetti conte­nuti a ragione del ruolo del dollaro nel sistema internazionale. Se al «default in maschera» non seguirà un attacco dei mercati a Spagna e in Italia, si a­vrà paradossalmente la prima vera prova della «forza» dell’euro, un atte­stato della sua reputazione molto più importante del tasso di cambio con il dollaro.

Si è parlato molto di errori macro­economici della troika del definire un programma di riassetto strutturale con una tempistica molto corta e con scarsa attenzione agli aspetti di tenu­ta sociale. Lo stesso numero uno del Fmi, Christine Lagarde, aveva dichia­rato che l’Europa deve trovare un ac­cordo per inserire il debito della Gre­cia sui binari della sostenibilità.

Più importante della dilazione del riassetto dei conti pubblici, sarà il rie­same del programma di privatizza­zioni, definito dalla troika in modo quanto meno frettoloso. Ad esempio, la vendita (da parte del demanio gre­co) di una parte della costa sullo Io­nio (potenzialmente appettibile per sviluppo turistico ) non tiene conto che su quel lembo sono state costrui­te 700 ville abusive che i proprietari (legittimi o meno) sono pronti a di­fendere a pallettoni (scoraggiando potenziali acquirenti). Inoltre si pen­sava di vendere (ai cinesi) l’Opap (a­zienda parastatale di giochi) che ha una rete estesa sino ai piccoli villag­gi. Ma pare che nella gamma offerta dell’Opap ci siano giochi d’azzardo vietati dalle regole europee e i cinesi temono che, al cambio di azionista di riferimento, si ponga termine alla tol­leranza esercitata sino ad ora. Anco­ra, la cessione di porti, aeroporti e au­tostrade richiede un lungo lavoro di regolazione del settore. Infine, nes­suno pare interessato all’acquisto del Palazzo Reale con annessi e connes­si di tenute da caccia, isole private e via discorrendo - ormai in disuso da anni e quindi bisognose di costose manutenzioni straordinarie.

Giuseppe Pennisi

Roma è (musica) contemporanea in Artribune 26 novembre

Roma è (musica) contemporanea

Il 49esimo festival di Nuova Consonanza ribadisce un concetto spesso trascurato: Roma è una delle principali capitali europee della musica contemporanea. Più di Parigi, Londra o Amsterdam. Lo dicono i numeri, dal pubblico alle ore suonate.

Scritto da Giuseppe Pennisi | domenica, 25 novembre 2012 · Lascia un commento
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Festival di Nuova Consonanza, Roma
In queste settimane il mondo internazionale della musica “colta”, soprattutto quello più giovane, guarda a Roma. Alcuni critici di testate importanti americane, tedesche, britanniche hanno preso in fitto miniappartamenti nella città dei “Cesaroni”. Roma infatti non è solo politica e  tentativi di far rivivere Cinecittà, è ormai riconosciuta come una delle capitali europei della musica contemporanea con ore di esecuzione, su base annua, pari a quelle di Berlino e superiori a quelle di Parigi, Londra e Amsterdam. Quasi ogni mese c’è un festival: molto attive Musica per Roma al Parco della Musica e il Romaeuropa Festival che opera principalmente al Teatro Palladium. La stessa Accademia di Santa Cecilia tiene un Emufest di live electronics e di elettroacustica nella neoclassica sala di via dei Greci.
Gran parte dei concerti dell’Orchestra Sinfonica di Roma sono dedicati alla riscoperta del Novecento italiano, la preparazione alla contemporaneità nel nostro Paese. In aggiunta, ad altre iniziative da parte di associazioni private, gran parte degli istituti di cultura stranieri (specialmente quelli di Francia, Germania, Paesi Bassi a cui si è ora aggiunto il Brasile) organizzano festival di musica contemporanea su esperienze dei loro Paesi, spesso sull’arco di una sera a settimana per nove-dieci mesi l’anno. È un fenomeno ben noto in Italia e all’estero: quando una decina di anni fa il Comune di Roma non finì il consueto finanziamento al festival più atteso (quello dell’associazione Nuova Consonanza) scattò una vera e propria catena di solidarietà e furono i maggiori istituti di cultura stranieri presenti a Roma a colmare il divario- indice eloquente del rilievo mondiale della manifestazione.
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Festival di Nuova Consonanza, Roma
Il festival di Nuova Consonanza è giunto alla 49sima edizione e si estende sino al 15 dicembre. Ha un pubblico giovane e prezzi stracciati: l’ingresso alla “maratona iniziale” era 10 euro e con altri 4-20 euro si aveva anche una cena (il prezzo varia, ovviamente, a seconda del menu scelto).
CentoCage è il titolo dell’inaugurazione svoltasi di consueto a Villa Aurelia, sede dell’American Academy in Rome. È stato un omaggio a un grande pensatore che ha sostanzialmente stabilito la parità dei diritti tra suono e rumore: un ricordo attraverso i suoi lavori per i vari pianoforti (preparato, toy, gran coda) nel concerto Cage Age di Daniele Lombardi, e per le percussioni del primo periodo nel concerto serale Cage e altri rumori dell’Ars Ludi Laboratorio; ma anche un dono di compositori e artisti a quell’americano che amava affermare “quello che so l’ho imparato dai funghi“, con lavori eseguiti in prima esecuzione assoluta per lui.
Godibilissima Onde, una storia fantastica per attore, musica e burattini, testo e regia di Idalberto Fei con la musica del giovane Domenico Turi, un modo intelligente per avvicinare i bambini (la sala era gremita di famiglie con figli anche piccoli) alla musica contemporanea e alla live electronics . Di rilievo cinque composizioni in prima assoluta e una rivisitazione del lavoro Atlas Eclipticalis di Cage, una selezione Sound Art Project selezionati dalla EBU Ars Acustica Group, installazioni d’arte e video tra cui i lavori di Roberto Masotti.
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Festival di Nuova Consonanza, Roma
Fra le novità in cui la musica di coniuga con il video, i Piccoli studi sul potere di Fabio Cifariello Ciardi: spesso il Potere parla non alla testa, ma soprattutto alla pancia, racconta il musicista. In che modo? Forse anche con la musicalità celata nell’eloquio. I Piccoli Studi sul Potere smascherano la possibile musica nascosta nei discorsi cruciali di cinque uomini che hanno fatto la storia: George W. Bush, Tony Blair, Barack Obama, l’Imperatore Akihito. utilizzando dunque alcuni dei più significativi discorsi pubblici tenuti dai cinque, Cifariello Ciardi li trascrive in spartiti per clarinetto, flauto, arpa, violino e violoncello (e utilizzando sia musica dal vivo sia supporti magnetici) ed evidenziando le loro studiate tecniche oratorie di persuasione. Infine, significativa la partecipazione degli artisti americani residenti dell’American Academy con i loro lavori: installazioni, performance, esposizioni di opere d’arte e novità musicali.
Tra gli altri appuntamenti da segnalare, il ricordo di Aldo Clementi, socio fondatore di Nuova Consonanza, scomparso l’anno scorso, con quattro concerti e un seminario intorno alla sua figura, e il workshop di composizione e il concerto-ritratto sul compositore francese Mark Andre, classe 1964, allievo di Gérard Grisey, Helmut Lachenmann e Wolfgang Rihm, fra i più interessanti musicisti della sua generazione, che quest’anno ha inaugurato il Festival Maerz Musik di Berlino insieme alla danzatrice Sasha Waltz.
Giuseppe Pennisi
www.nuovaconsonanza.it
Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma

Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma
Festival di Nuova Consonanza, Roma