venerdì 29 giugno 2012

Gli spettri aprono il sipario del Festival di Spoleto in MIlano Finanza 30 giugno


Gli spettri aprono il sipario del Festival di Spoleto
di Giuseppe Pennisi

Da cinque anni Giorgio Ferrara si è impegnato a fondo nel rilancio del Festival di Spoleto, ora alla 55° edizione (29 giugno-15 luglio). In scena quest'anno due opere, una dozzina di concerti, tre balletti e nove spettacoli di prosa. Spoleto deve fronteggiare una dura concorrenza: la strada è tutta in salita.
Il lavoro inaugurale è Il giro di vite di Benjamin Britten, su libretto di Mayanny Piper.
Tratto dal racconto di Henry James e commissionato dalla Biennale di Venezia, ebbe alla Fenice la prima mondiale nel 1954. Di recente si sono viste due edizioni, con regia rispettivamente di Luca Ronconi e Luc Bondy, e lo spettacolo sarà a Bologna la prossima stagione. I due atti di 50 minuti e otto scene ciascuno sono come uno specchio: a ogni scena del primo atto ne corrisponde una analoga nel secondo in cui la tonalità musicale è rovesciata o duplicata con un leggero mutamento. L'organico è ridotto all'osso: 13 orchestrali e sette voci. Le singole rapide scene danno il senso dell'avvitarsi della spettrale vicenda fino alla tragica giaccona finale. Il tema perdita dell'innocenza e del riscatto finale è inserito in un contesto in cui i corruttori dei due adolescenti protagonisti sono ormai fantasmi.
Perfetta la resa musicale dei sette interpreti e del complesso dell'Orchestra Verdi di Milano, guidato da Johannes Debus. La regia di Ferrara e le scene di Guido Quaranta si ispirano al quadro di Böcklin sull'isola dei morti, idea utilizzata recentemente per lavori molto differenti come il Macbeth di Verdi e Arianna a Nasso di Strauss. La recitazione è studiatamente lenta. Manca sia il clima vittoriano dell'edizione di Ronconi sia il passo incalzante alla Hitchcock di quella di Bondy. (riproduzione riservata)

Nostalgia di Ronconi e Hitchcock nel "Giro di vite" di Britten in Il Sussidiario 30 giugno


OPERA/ Nostalgia di Ronconi e Hitchcock nel "Giro di vite" di Britten
sabato 30 giugno 2012
The Turn of the Screw di Britten
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Si svolge dal 29 giugno al 15 luglio 2012 la 55esima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto, storica manifestazione culturale che negli ultimi anni si è riaffermata quale evento di risonanza mondiale. Terreno d'incontro fra culture diverse e grandi esperienze artistiche provenienti da tutto il mondo, prestigiosa ribalta per artisti di fama, vetrina per quelli emergenti, e di nuovo luogo di produzioni originali, il Festival porta in scena le massime espressioni dell’opera, della musica, della danza, del teatro, con uno sguardo attento anche sul visivo contemporaneo. La 55esima edizione del Festival si presenta con 55 spettacoli e 106 aperture di sipario, 2 rassegne di cinema, 1 laboratorio teatrale, 3 convegni, 2 concorsi, 4 premi, oltre a diversi eventi speciali e mostre.

In occasione del centenario della nascita di Benjamin Britten, che cade nel 2013, il Festival è stato inaugurato con “The Turn of the Screw” (“Il Giro di Vite), l’opera più rappresentata del compositore britannico  A proposito del racconto di Henry James da cui è tratto il lavoro, Britten utilizzò tre aggettivi “meraviglioso, sinistro e terrificante”. Dalla novella, Britten fece trarre un libretto affascinante da Myfanwy Piper: due atti (di otto scene e 50 minuti esatti ciascuno) pensati come uno specchio: a ciascuna breve e rapida scena del primo atto se ne riscontra una analoga nel secondo in cui però la tonalità di musicale è rovesciata o più semplicemente duplicata con un leggero mutamento. L’organico è all’osso: tredici orchestrali e sei voci (che possono essere ridotte a cinque) di cui due “bianche”, due  soprani e un tenore. La struttura a specchio e la prevalenza di voci “alte” fa sì che le singole rapide scene diano il senso dell’avvitarsi della vicenda sino alla tragica “giaccona” finale.


La novella di James e il dramma in musica di Britten sono imperniati sulla perdita dell’innocenza - una perdita “ambigua” in quanto non è mai palese se siano stati i bambini Flora e Miles ad essere  corrotti oppure anche complici dei loro corruttori (ormai morti e divenuti fantasmi) o se il desiderio della loro nuova Governante di riscattarli celi un più sottile tentativo di conquista. Non è neanche chiaro se la perdita dell’innocenza sia connessa a possesso intellettuale, psicologico o sessuale. Britten pensò “The Turn” come opera “portatile” da trasferta da un teatro all’altro.

Per diversi anni si è visto in vari teatri italiani un allestimento di Luca Ronconi, presentato a Torino, Roma, Cagliari, Parma ed altre città. Le scene di Margherita Palli, i costumi di Vera Marzot e la regia di Luca Ronconi ci portavano in una Gran Bretagna vittoriana ossessiva. Pochi anni dopo, un’edizione firmata da  Luc Bondy dava ai due tempi una regia incalzante, alla Hitchcock, anche in quanto  aiutata dalle belle scene (studiate per rapidi cambiamenti) di Richard Peduzzi e dai costumi di Moidele Bickel: eliminati tutti i ciarpami vittoriani, il “Turn” diventa un nostro contemporaneo che ci prende ancora di più. L’edizione partì da Aix en Provence e girò per vari teatri europei. Ad Aix il vero capolavoro è stata la direzione intensa e travolgente del piccolo organico orchestrale da parte di Daniel Harding.
L’allestimento di Spoleto si deve confrontare con queste due pietre miliari della realizzazione di “The Turn” negli ultimi quindici anni. Perfetta la resa musicale da parte dei sette interpreti e del complesso della Verdi di Milano guidato da Johannes Debus. È lavoro molto difficile sotto il profilo sia orchestrale sia vocale. Ciascun atto, come si è detto, si basa su tema e una serie di variazioni (una per scena), Johannes Debus ed il piccolo ensemble (meravigliosa la celesta) hanno fanno sì che idee musicali così complesse venissero espresse con grande naturalezza e spontaneità e che l’organico cameristico fosse in grande di esprimere negli intermezzi sonorità sinfoniche.

Dal punto di vista vocale, “The Turn” ha due trappole: l’ascoltatore deve essere in grado di comprendere ogni parola (e ogni parola è legata a tonalità specifiche) poiché si è alle prese con un "giallo"; inoltre, la vocalità della protagonista è impervia in quanto spesso imperniata sull’acuto. Il cast è in gran misura anglosassone: eccelle il giovane Thomas Copeland nel ruolo di Miles e molto buoni anche Martin Miller (il Prologo) e Leonardo Capaldo (Quint), ruoli scritti perché venissero cantati da Peter Pears. Nel gruppo femminile, la protagonista, la francese Marie – Adeline Henry ha la vocalità richiesta, ma una dizione spesso di difficile comprensione.


Di livello Hanna Schaer, Emily Righter e Rosies Lomas. Si resta perplessi alla  regia di Giorgio Ferrara e alle scene di Guido Quaranta: si ispirano al quadro del simbolista di tardo ottocento Arnold  Böcklin sull’isola dei morti, idea di recente utilizzata per lavori così differenti come il “Macbeth” di Verdi ed “Arianna a Nasso” di Strauss (deve essere di moda). Manca sia il clima vittoriano dell’edizione di Ronconi che soprattutto il passo incalzante alla Hitchcock di quella di Bondy.


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L’intesa ha seppellito l’era Maastricht in Avvenire 30 giugno


l’affondo L’intesa ha seppellito l’era Maastricht


DI GIUSEPPE PENNISI

« P eace for Our Times».
Con questa fra­se il Premier britannico Neville Chamberlain commentò, il 30 set­tembre 1938, l’accordo appena raggiunto a Mo­naco, grazie alla mediazione di Benito Mussoli­ni e con la Germania sui confini del Terzo Reich. L’accordo fu di breve durata. E la stessa frase con cui il primo ministro britannico a­prì il proprio discorso alla Came­ra dei Comuni conteneva un pun­ta d’ironia.

«Peace for Our Times» è ciò che si può dire dell’intesa raggiunta la mattina del 28 giugno al Consiglio Europeo. È un’intesa a cui occorre ancora dare contenuti puntuali, come le modalità degli interventi dei Fondi salva-Stati (e forse anche della Banca centrale europea) per calmierare gli spread , le soglie e i tetti previsti, l’esigenza o meno di politiche di sta­bilizzazione e crescita sottostanti gli interventi, il sistema di monitoraggio. La messa a punto è in corso in questi giorni e la sua formalizzazione è stata rinviata alla riunione dei ministri dell’Eco­nomia e delle Finanze del 9 luglio. Il Diavolo si na­sconde nei dettagli. Tanto più che l’intesa è stata raggiunta in un clima di diffidenza.

Tuttavia, già da adesso è chiaro che ove non si fos­se raggiunto un’intesa, l’area dell’euro sarebbe fi­nita nel caos; sarebbe rimasta in esistenza una moneta unica per Germania, Austria, Finlandia, Slovenia , Olanda, Lussemburgo e forse Francia, mentre il resto della zona sarebbe stato travolto da insolvenze e da possibili uscite dall’euro per tor­nare a svalutazioni competitive. Secondo stime, ancora inedite, di William Cline del Peterson In­stitute for International Economics, il fabbisogno finanziario complessivo di Grecia, Irlanda, Porto­gallo, Spagna e Italia assomma ora a 1.250 miliar­di di euro e avrebbe minacciato di crescere velo­cemente senza un meccanismo per calmierare gli

spread .


Deve, però, essere anche chiaro a tutti che l’Eurozona quale defini­ta con il Trattato di Maastricht (fir­mato in un’atmosfera di recipro­ca fiducia) è stata così profonda­mente modificata da non esiste­re più. Pochi, pure tra gli esperti, hanno metabolizzato questo punto. Il Trattato di Maastricht e quelli ad esso successivi vietano interventi come quelli alla base dell’intesa del 28 giugno, e non per un capriccio, ma per un’esi­genza precisa: una politica uni­ca della moneta (in mano alla B­ce) e politiche di bilancio entro i parametri concordati dovrebbero non richiede­re interventi di salvataggio o di calmiere se tutti operano lealmente secondo le regole del gioco.

Così pare non essere stato.

Il sistema che sta emergendo è analogo a quello detto «di Bretton Woods» che ha retto per 29 an­ni. Gli spread hanno il ruolo che avevano le o­scillazioni 'moderate' dal Fondo monetario in­ternazionale. Gli interventi dei salva-Stati quelli del Fmi. L’euro-Berlino (l’àncora rispetto ai cui ti­toli si misurano gli spread e si cercherà di cal­mierarli) quello del dollaro Usa. Tuttavia, il regi­me «di Bretton Woods» operava in un contesto di controlli valutari e il consiglio d’amministrazio­ni del Fmi (che si riunisce tre volte la settimana) gestiva collegialmente i tassi di cambio deciden­do su svalutazioni e rivalutazioni. All’interno di un’unione monetaria non sono possibili né con­trolli valutari né svalutazioni o rivalutazioni. Se, però, divergono produttività e competitività si ve­rificano 'svalutazioni fiscali' o 'rivalutazioni fi­scali' interne dei livelli di potere d’acquisto. Se­condo la Commissione Europea, l’Italia ha subi­to dal 1999 una 'svalutazione fiscale' del 30% . L’intesa del 28 giugno, questo è il suo limite mag­giore, non fa nulla per curarla.

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Un’unica politica monetaria e limiti ai bilanci pubblici non hanno evitato il bisogno di salvataggi Ora si va verso una nuova Bretton Woods

giovedì 28 giugno 2012

Nel segno di John Cage a cent'anni dalla nascita Il Sussidiario del 28 giugno


FILARMONICA/ Nel segno di John Cage a cent'anni dalla nascita
giovedì 28 giugno 2012
L'evento a Roma
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Una grande idea per questo inizio d’estate. A Roma, a due passi da piazza del Popolo, nella Sala Casella e negli spazi all’aperto del Bosco filarmonico, dal 25 giugno all’8 luglio, è in corso un programma di musica, danza, mostre, giochi, incontri e proiezioni per una programmazione che sorprende e diverte a partire dall’esecuzione in prima assoluta di Bonn!, una "patacca" beethoveniana per violino solo donata da Mussolini alla Filarmonica nel 1927. In primo luogo, Open session aperte a tutti i musicisti che abbiano voglia di fare musica, con un nuovo spazio dedicato ai writers e ai loro disegni.
Cinque le nazioni ospiti (Norvegia, Austria, Armenia, Iran, Burkina Faso) con i loro migliori artisti, alcuni per la prima volta a Roma, e le grandi interpreti Maria Pia De Vito, Monica Bacelli ed Elizabeth Norberg-Schulz quest’ultime in un inedito duetto. Numerose le prime esecuzioni assolute fra cui la performance Child of tree della coreografa Alessandra Cristiani; Bocca baciata non perde ventura… un originale incontro fra la musica antica di Guillaume de Machault e una novella del Decameron con la voce jazz di Maria Pia De Vito; La storia di un soldato versione africana di quattro attori del Burkina Faso liberamente ispirata al capolavoro di Stravinskij; Musica su forma d’artista un inedito mix di acciaio, ottone, percussioni ed elettronica realizzato con le sculture in metallo dell’artista romano Carlo Lorenzetti.
Ma la vera chicca è stata l’apertura a cui ho preso parte la sera del 25: un festival nel segno di John Cage, di cui quest’anno si festeggia il centenario della nascita.“Nel cuore di Roma vive un luogo dove le vicende dell’arte e della natura della nostra città si incontrano in un raro punto di equilibrio – ci dice Sandro Cappelletto, direttore artistico dell’Accademia Filarmonica Romana –. Un sito stratificato fino al mito e contemporaneo, aperto alle arti, per un’identità così peculiare che il Fondo Ambiente Italiano ha inserito la sede della Filarmonica tra i luoghi ‘segreti’ da svelare durante le giornate F.A.I. Porte Aperte. In questo spazio risonante si svolgono I Giardini di Luglio. Protagonista è la musica; con lei, la danza, il cinema, le arti visive, la fotografia, il gioco, il racconto, la convivialità. Iniziamo con John Cage, maestro lieve e profondo, capace di percorrere avventure inusuali per la cultura occidentale. Scacchista e pianista, yogi e compositore, esperto di funghi e narratore. Nel centenario della nascita, c’è un dolce/travolgente moto d’affetti per il suo modo di ‘abitare’ la musica, ospitando una rassegna delle sue opere e chiedendo a compositori, acustici, elettronici, sensibili all’uso della video-arte, di creare nuovi lavori ispirati (anche) a lui, per un’Estate nel XXI secolo”.
Va’, vecchio John è il titolo delle prime due giornate di lunedì 25 e martedì 26 giugno: il Centro Ricerche Musicali ha realizzato un rivoluzionario allestimento sonoro dove le piante celano gli strumenti, i diffusori di altissima tecnologia sembrano alberi, e il bosco filarmonico si trasforma in un inedito, avvolgente spazio d’ascolto, dove la musica di Cage si incontrerà con quella dei compositori del nostro tempo. La sua musica dunque, ma anche la sua danza (con il debutto di Child of tree nuova coreografia a lui dedicata da Alessandra Cristiani, artista in residence della Filarmonica) e il suo mondo, in sostanza la sua allegra arte di vivere e creare: i video, gli scacchi (con la partecipazione di scrittori, giornalisti, musicisti e volti noti dello spettacolo che sfideranno giovanissimi giocatori di scacchi), lo yoga, l’I Ching e – non potevano mancare – i funghi, di cui Cage fu appassionato e grande esperto tanto da fargli vincere 5 milioni di vecchie lire alla popolarissima trasmissione condotta da Mike Bongiorno Lascia o raddoppia? nel 1958: un menu Cage a base di funghi e altre ricette amate dal compositore statunitense sazierà il pubblico della Filarmonica nelle due serate inaugurali.

Un omaggio a uno dei più creativi e originali compositori americani del XX secolo, che la Filarmonica Romana ebbe fra l’altro l’onore di ospitare nella sua stagione in un memorabile concerto (musiche di Cage), il 5 gennaio 1959, al Ridotto del Teatro Eliseo: quella sera al pianoforte si alternarono John Cage e Luciano Berio, affiancati dalla voce della grande Cathy Berberian. La prima serata è stata affascinante anche in quanto il balletto è “itinerante”, ossia il pubblico si sposta in varie parti del bosco seguendo la danzatrice mentre vari complessi musicali (anche con strumenti, per lo più a percussione, asiatici ed africani) sono disposi in vari angoli tra le piante. Molti, anzi soprattutto, i giovani con un gruppo di anziani pieni di nostalgia di quando Cage, con le sue improvvisazioni, rappresentava una delle punte dell’avanguardia. Dopo le due giornate Cage, ancora musica contemporanea  e jazz. 


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