venerdì 28 settembre 2007

AEROFLOT E’ L’UNICO SERIO

Gira e rigira il tormentone Alitalia (sparito dalle prime pagine dei giornali da alcune settimane in parallelo con l’aggravarsi della situazione internazionale e con le vere e proprie montagne russe a cui è sottoposto il Luna Park Palazzo Chigi) è tornato esattamente al punto in cui era lo scorso aprile. C’è un unico acquirente con un piano industriale: l’Aeroflot. Potrà non piacere diventare una sussidiaria di quella che un tempo era la compagnia di Baffone, ma altre offerte serie non se ne vedono; neanche all’orizzonte più lontano. Si potrà pensare che il miliardo di dollari (oggi circa 700 milioni di euro; domani forse un po’ meno”). Ma, dato che non ci sono altre offerte, o mangi questa minestra oppure…………………
Il patron di Alitalia, Maurizio Prato, ha affermato , alla Commissione Lavori Pubblici del Senato, che la compagnia è “in stato comatoso”. Il coma – è vero- potrebbe durare un anno o forse più: la società deve restituire 320 milioni l’anno sia nel 2008 sia nel 2009 e nel 2010 (colpo finale) scade il prestito obbligazionario di 714 milioni di euro varato (all’epoca) nella speranza di rilanciarla. In un anno (e forse più, come diceva una canzone del tempo in cui Maurizio Prato era giovane) possono anche verificarsi miracoli. Tuttavia, in interventi del Cielo non crede neanche Prato che pare stia facendo predisporre lettere di licenziamento. Mentre tra i titolari della carta Mille Miglia corre il “si salvi chi può” all’ultimo volo possibile.
Questa volta non c’è neanche parvenza di gara, neanche un beauty contest. Gli americani se ne sono andati e non accennano a tornare (tanto più che la situazione politica italiana non li rassicura affatto). Air France (con Klm) va alla conquista (amorosa e sensuale non unicamente venale) della Iberia. La proposta degli Emirati è ancora in fase prelibare. Le ambizioni di Air One vengono gelate dalle dichiarazioni della Lufthansa sulla capacità potenziale dell’azienda , che ormai, unitamente a Volare, mira principalmente ad un pacchetto di buoni slots di Malpensa .
In questo quadro, Aeroflot offre non soltanto contante ma anche idee (e forse il backing .finanziario Unicredit) Le ha fatte trapelare, in conversazioni neanche molto riservate, Tyler Brûlé direttore della rivista “The Monocle” (periodico dedicato al superlusso). Brulé vive tra la Svizzera, la Svezia e la Gran Bretagna – quindi, è molto spesso in aereo e sa quanto la comodità ed il lusso in cabina siano importanti specialmente a chi viaggia per lavoro e può permettersi di non badare a spese. Ne ha anche parlato un russo d.o.c., il giovane pianista Denis Matsuev (nato in Ikuts in Siberia, 31 anni, alto 1 metro e 92 centimetri ed idolo delle ragazze oltre che degli specialisti di Rachmaninov – il “Times” di Londra lo ha chiamato “il nuovo Horowitz”. Brûlé e Matsuev (è anche lui sempre in volo e con una stazza che comporta difficoltà a trovare un aereo dove sentirsi comodo – per ora l’unica prima classe a lui adeguata è quella della Singapore Airlines) fanno capire che la strada per rilanciare l’Alitalia consiste in farla diventare la sussidiaria di superlusso di una grande compagnia mondiale- in breve la Bentley o la Rolls Royce del trasporto aereo. Solamente prima classe, poltrone comodissime, televisioni al plasma, telefoni satellitari, cucina a bordo da Vissani o da Michele (non inferiore comunque ai veronesi “12 apolostoli” o simili), stampe d’autore alle pareti, uniformi firmate Valentino coniugando il meglio delle varie A (Arredamento, Alimentazione, Automazione, Abbigliamento, Arte ) del sistema Italia per voli che i comuni mortali possono soltanto sognare.
L’Aeroflot è interessata ad avere un ramo di superlusso perché non è più l’aviolinea “proletaria” dove si viaggiava ammassati in poltrone strettissime, agli ordini di hostess molto robuste e con accanto passeggeri con polli in cesti di vimini. Soprattutto non vuole essere considerata tale. Ha affrontato una dura ristrutturazione , riorganizzato le proprie tratte, dato la priorità sul mercato dell’Eurosia e si è dotata di una flotta di 88 jet, di cui 52 Tupelov e Ilyushin, 25 Airbus ed il resto suddiviso tra Boeing e McDonnel-Douglas. Ha appena ordinato 22 Aibus A350-XWB . Con i conti in ordine è pronta ad entrare alla grande nel mercato del lusso (non solo eurasiatico o per i nuovi magnati della Russia e dell’Asia centrale) ma mondiale, tale da soddisfare tutti coloro che, come il giovane Matsuev, cercano il lusso – una domanda a prova di recessione come mostra, ad esempio, l’andamento delle quotazioni dei vini di extra-lusso francesi. .Aeroflot ha forse avuto probabilmente accesso all’informazione super-riservata: i tassi di rendimento contabile di Alitalia per tratta. Sa quindi su quali tratte puntare per il ramo superchic.
Un’Alitalia Tovarich (compagna), come nel film di Anatole Litvack (interpretato da Charles Boyer e Claudette Colbert) , può non piacere a tutti. Nei suoi voli però si bevrebbe champagne di ottima qualità, mentre se diventasse una succursale dall’aviolinea degli Emerati ci si dovrebbe accontentare di aranciate e tè. Triste prospettiva per i voli intercontinentali.

giovedì 27 settembre 2007

IL RISCATTO SOCIALE E’ ANCORA DI SINISTRA?

”Teneke”di Fabio Vacchi è uno degli spettacoli musicali più importanti del 2008. L’inconsueto titolo si riferisce ai tamburi di latta con cui i contadini della Anatolia rurale accompagnano i loro canti. Yasar Kemal, uno dei maggiori scrittori turchi del Novecento, ha intotalato allo strumento un suo romanzo di successo del 1955 da cui Franco Marcoaldi ha tratto un dramma in musica composto da Fabio Vacchi (uno dei musicisti italiani più noti anche all’estero che con la regia di Ermanno Olmi e le scene di Arnaldo Pomodoro ha debuttato il 22 settembre alla Scala (dove resterà in scena sino al 4 ottobre). Una “prima” che per importanza ricordava le inaugurazioni della stagione a Sant’Ambrogio: fuori abbonamento, teatro esaurito da mesi, molti critici e manager teatrali stranieri in Sala. Il lavoro è stato composto guardando non soltanto all’Italia ma soprattutto al vasto e crescente pubblico di Germania, Francia, Stati Uniti e soprattutto Asia , affatto di teatro lirico moderno, ma al tempo stesso facilmente ascoltabile.
Alla “prima” era presente tutta la sinistra d.o.c. ; non mancavano, naturalmente, esponenti dell’industria e della finanza (tra cui i grandi sostenitori della Scala). Con una buona dose di approssimazione, nell’intervallo un musicologo ex-Pci (affiancato da un ex-procuratore d’assalto ora in politica attiva) definivano “Teneke” come “la prima importante opera marxista del 21simo secolo e si auguravano il suo viaggio nei vari teatri del mondo risvegliasse le coscienze; riferimenti espliciti anche a future rappresentazioni all’Opéra di Parigi innescassero rivolte anti-Sarkozy.
Andiamo con ordine.“Teneke” è un lavoro accattivante: coniuga un forte senso del teatro con una scrittura musicale ed orchestrale rivolta più al “Novecento Storico” (a esempio a “Les Dialogues des Carmélites” di Poulenc) che alla contemporaneità più sfrenata (a cui il grande pubblico è refrattario). In 20 rapide scene presenta la lotta sociale dei contadini della Anatolia degli Anni 50 contro i latifondisti, nell’ambito di un programma di trasformazione agricola in cui il villaggio dei contadini viene allagato, le culture tradizionali e l’acqua stagnante diffonde la malaria. Un giovane prefetto tenta di opporsi , ma viene calunniato e richiamato al Ministero . Nonostante la sconfitta, si avverte il riscatto sociale nel suono dei teneke (nella parte più alta del palcoscenico) e (in buca) nelle percussioni , nei fiati e negli ottoni del breve poema sinfonico che con grande impatto stereofonico conclude l’opera. E’ un dramma di sinistra, anzi di ispirazione marxista? Ove lo fosse, lo sarebbero ancora di più “Ernani” di Verdi e “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, per non parlare dei “Carmina Burana” di Orff (compositore di corte della Germania Nazista che li compose per una celebre adunata a Norimberga).
Non sappiamo per chi vota Fabio Vacchi (e francamente non ci interessa); i suoi lavori per la scena sono stati principalmente a carattere intimista e riguardano tematiche dei rapporti tra coppie e tra padri e figli che non sono né di destra né di sinistra. E’ certamente errato definire di sinistra il cattolico Ermanno Olmi (spesso discriminato perché considerato “controcorrente”, ove non uno colui che “rema contro”). Ed così facilmente classificabile “di sinistra”, anzi marxista, il principe degli scultori Arnaldo Pomodoro?
Veniamo, poi, alla trama. Il giovane prefetto si oppone ai latifondisti con la forza della legge (che nel caso specifico è contraria all’oligopolio collusivo di questi ultimi, quindi liberale). I contadini, pure loro, vogliono un assetto di libertà contro una burocrazia corrotta sin troppo simile a quelle che imperavano nei Paesi del “socialismo reale”. Non preoccupa tanto l’interpretazione artata (drammaturgica e musicale) che viene data al lavoro quanto il tentativo di una sinistra sconfitta dalla Storia che tenta di riacquistare l’egemonia di un tempo. E’ responsabilità, però, anche della cultura di centro-destra lasciata spesso a cincischiare in conventicole senza che il livello politico le presti adeguata attenzione.
Due parole su “Teneke”. Sotto il profilo drammaturgico, le due parti del lavoro sono incalzanti come i film di Franco Rosi e di Luchino Visconti su tematiche analoghe. Molto efficace la scenografia: un’Anatolia arsa dal sole e della polvere nella prima parte ed una montagna di fango nero, intramezzata da acquitrini, nella seconda.
La scrittura musicale fonde un sinfonismo continuo per vasto organico, distillati di musica etnica e cadenze solistiche per violino e violoncello. Roberto Abbado guida con perizia l’orchestra della Scala. Interessante la scrittura vocale: il declamato ai margini dello sprechensang ed il melologo si sciolgono in insieme a cappella, ariosi ed anche arie di coloratura sempre contrappuntanti dal coro.
Guidato da Mauro Casoni, il coro è il protagonista sia dell’azione scenica sia della parte musicale. Dei numerosi solisti occorre ricordare Steve Davislim (un tenero leggero nel ruolo del giovane prefetto), Rachel Harnisch (un soprano da coloratura in quello della sua fidanzata), Anna Smirnova (un mezzo soprano verdiano a capo degli gli insorti) e Nicola Ulivieri (un baritono di agilità, alla guida dei latifondisti).

I TAMUBIRI DI LATTA NON STONANO

”Teneke” è il nome dei tamburi di latta con cui i contadini della Anatolia rurale accompagnano i loro canti. Lieti e tristi. E’ anche il titolo di un romanzo (del 1955) dello scrittore Yasar Kemal da cui Franco Marcoaldi ha tratto un dramma in musica composto da Fabio Vacchi (uno dei musicisti italiani più eseguito e più rappresentato all’estero) che, il 22 settembre, ha debuttato alla Scala (dove è in scena sino al 4 ottobre) con la regia di Ermanno Olmi e le scene di Arnaldo Pomodoro. Il successo è stato enorme, con lunghi applausi alla “prima” ed indicazioni di riprese pure all’estero.
“Teneke” è un lavoro accattivante: coniuga un forte senso del teatro con una scrittura musicale ed orchestrale rivolta più al “Novecento Storico” (in particolare agli Anni ‘50) che alla contemporaneità più sfrenata. E’, in parte per questa ragione, che piace al pubblico. In 20 rapide scene presenta il dramma della lotta sociale dei contadini della povera Anatolia degli Anni ‘50 contro i latifondisti, nell’ambito di un programma di trasformazione agricola la cui rendita è destinata ai proprietari, ma il villaggio dei contadini viene allagato prima ancora che possano trovare riparo altrove, le culture tradizionali vengono distrutte e l’acqua stagnante causa la diffusione della malaria. Un giovane prefetto di prima nomina cerca di opporsi, ma viene calunniato e successivamente richiamato nella sede centrale del Ministero a Ankara. Nonostante la sconfitta, si avverte il riscatto sociale in un futuro non lontano nel suono dei teneke (nella parte più alta del palcoscenico) e (in buca) nelle percussion, nei fiati e negli ottoni del breve poema sinfonico che con grande impatto stereofonico conclude l’opera.
Sotto il profilo drammaturgico (Vacchi ha grande dimestichezza di musica per film ed Olmi è regista cinematografico) le due parti (divise da un breve intervallo) sono incalzanti come i film di Franco Rosi e di Luchino Visconti su tematiche analoghe. Molto efficace la scenografia: un’Anatolia arsa dal sole e della polvere nella prima parte (che si chiude con una spettacolare inondazione) ed una montagna di fango nero, intramezzata da acquitrini, nella seconda.
La scrittura musicale fonde un sinfonismo continuo per vasto organico mahleriano con distillati di musica etnica e cadenze solistiche per violino e violoncello. Roberto Abbado guida con perizia l’orchestra della Scala in un percorso non facile per i musicisti pur di agevole ascolto per il pubblico. Interessante la scrittura vocale: il declamato ai margini dello sprechensang ed il melologo (si comprende ogni parola) si sciolgono in insieme a cappella, ariosi ed anche arie di coloratura sempre contrappuntate dal coro. Il declamato ha chiari radici nel “Novecento storico” mentre il melologo è un tributo addirittura all’Ottocento della “giovane scuola” di allora.
. Roberto Abbado guida con perizia l’orchestra della Scala. Interessante la scrittura vocale: il declamato ai margini dello sprechensang ed il melologo si sciolgono in insieme a cappella, ariosi ed anche arie di coloratura sempre contrappuntanti dal coro.
Guidato da Mauro Casoni, il coro è il protagonista sia dell’azione scenica sia della parte musicale. Dei numerosi solisti occorre ricordare Steve Davislim (un tenero leggero nel ruolo del giovane prefetto), Rachel Harnisch (un soprano da coloratura in quello della sua fidanzata), Anna Smirnova (un mezzo soprano verdiano a capo degli gli insorti) e Nicola Ulivieri (un baritono di agilità, alla guida dei latifondisti).
Predominano, anche nei ruoli vocali dei “cattivi”, le tonalità alte.

LO STUDIO AMERICANO NON CANCELLI LE ILLUSIONI

Le mamme e le zie suggerivano di “cambiare area per qualche giorno” quando in procinto degli esami, si era troppo nervosi. E per Prodi, TPS e gli altri la finanziaria è un esami tra i più duri. Mentre in Italia, la sinistra “radical-reazionaria” starnazzava, Prodi (in compagnia di D’Alema, Dini e qualche altro) era a New York. Simpatica aria settembrina, una buona Del Monico Steak, quel brandy & soda caratteristico del bar dei delegati affacciato su Turtle Bay. E’ sbarcato con nuova energia a Roma per affrontare la lunga giornata verso la notte (parafasando il titolo dell’ultimo lavoro del Nobel Eugene O’Neill – a Broadway in queste settimane). Anche a motivo delle ripetute tirate d’orecchie de Il Tempo in meno di 18 ore ha messo in calendario per il 26 settembre la sessione di politica dei redditi, il confronto con le parti sociale, e la riunione del sinedrio dell’Unione.
Su cosa si è chiarito le idee? In primo luogo, il modello Link dell’economia mondiale, messo a punto dal suo vecchio amico l’87enne Lawrence Klein (nel 2002 suo ospite a Bologna) per l’Onu, ammonisce che il percorso è stretto: da un lato, le tensioni finanziarie minacciano di rallentare le economie Ocse (in particolare Usa ed Italia) mentre si sta accendendo una nuova ventata di inflazione (imperniata su materie prime e derrate alimentari). Occorre, quindi, resistere alle richieste di aumento della spesa . Gli obiettivi di mobilità sociale possono essere raggiunti (senza nuove spese) applicando il “Quaderno Bianco sulla Scuola” presentato a Roma il 21 settembre.
Cercare di aumentare le entrare innalzando le aliquote sulle rendite finanziarie farebbe danni: in volo, Prodi ha letto due documenti – uno dell’ONU, apparso sulla International Finance Review ed uno della Banca Mondiale , il Policy Research Working Paper N. 3882 : un ritocco all’insù della tassazione farebbe scappare capitali e frenerebbe il giù modesto flusso di investimenti diretti verso l’Italia. Sul fronte fiscale , quindi, si sta essenzialmente mettendo a punto una manovra (piuttosto complessa) per sgravare le famiglie a basso reddito di parte dell’Ici e delle spese per la manutenzione straordinaria del patrimonio immobiliare. da declinarsi, se possibile, con qualche piccola misura per la famiglia (un omaggio più mediatico che di sostanza al Family Day). Le risorse verrebbero trovate (come già fatto nel 1996-97) ritardando spese per grandi opere. In segno di dissenso, il Ministro per le Infrastrutture Antonio Di Pietro ha preso parte ad un convegno bi-partisan organizzato, dalla Fondazione Formiche, alla Camera, la mattina del 26 settembre.
Cosa farà a fronte del “prode” Prodi la sinistra “radical-reazionaria”? E’ un gioco complesso a più tavoli ed a più livelli- John Nash (quello di “A Beautiful Mind”) parlerebbe di equilibrio dinamico da risolversi con un algoritmo molto complicato. Più della matematica, conta il timore di spezzare la fune (con caduta di Governo e eventuale fine di legislatura) e tornare ad essere soltanto “sinistra di lotta”. Senza incarichi per gli amici e gli amici-degli-amici, voli gratis, barbiere e buvette. Anche i “radical-reazionari” diventano presto una casta presto. E’ l’asso nella manica di Prodi. Secondo gli ultimi spifferi di Palazzo Chigi, la “manovra” ammonterebbe a 10.575 milioni di euro di cui 6.050 milioni attraverso il maggior gettito fiscale e 4.525 milioni attraverso i tagli di spese. I secondi sono in gran parte un’illusione ottica. Il primo dipende , in parte, da una crescita ipotizzata a livelli molto più elevati (1,7%) di quelli realisticamente stimabili (1-1,3% del pil) e in parte dalla speranza che proseguano ancora gli effetti delle misure sulle entrate approvate nella precedente legislatura.

L’IPOTESI DI MENO TASSE SOLO UN ILLUSIONE

A Johns Hopkins University, allora (fine anni ’60) nei pressi di Dupont Circle (all’epoca considerata la Piazza di Spagna di Washington D.C., capitale Usa), il mio Professore di Economia Isaiah Frank, scomparso centenario da pochi mesi, concludeva ciascuna lezioni con un intercalare: “Soprattutto, non facciamoci illusioni”. Noi graduate students sui 25 anni di età ridacchiavamo. Anche perché di illusioni ce ne facevamo tante.
L’intercalare del buon Prof. Frank (che è anche stato Sottosegretario di Stato per gli affari economici) mi è tornato alla mente in queste ultime settimane in cui molti italiani (basandosi su dichiarazioni di uomini di Governo e dello stesso VVV, Viceministro Vincenzo Visco responsabile per la politica tributaria) si sono illusi che, dopo la stangata del 2007, la finanziaria 2008 portasse un po’ di fiato agli individui, alle famiglie, alle imprese , all’economia ed alla società tutta con una riduzione della pressione fiscale-contributiva – che nel prossimo anno minaccia di essere la più alta al mondo. A dire il vero gli uffici di VVV (e i suoi collaboratori più diretti) hanno messo a punto un programma di ritocchi al ribasso delle aliquote che comportava in primo luogo un ribasso delle imposte societarie. Al momento in cui scrivo, non so (e non credo che lo sappia neanche Romano Prodi) come andrà a finire la riunione di questa notte del 26 settembre del sinedrio dell’Ulivo. Appare, però, molto verosimile che la conclusione sia qualche ritocchino all’Ici, per gli appartamenti di meno di 100 quadrati , purché siamo prima casa di famiglie negli scaglioni di reddito meno elevati. Un’operazione puramente mediatica, in omaggio, in parte, al Family Day. VVV ed i suoi collaboratori hanno rimesso nel cassetto le loro proposte di sgravi in quanto contingenti a riduzioni della spesa che nessun Ministro pare intenda fare.
Anzi, per contenere gli esborsi correnti dello Stato pare si sia inventata (in controtendenza con tutto il mondo) l’abbassamento dell’età per la messa a riposo obbligatoria di statali, professori, magistrati ed altre categorie del pubblico impiego. E’ una mera partita di giro (di dubbia costituzionalità) che sposta dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici all’Inpdap ( che è per sempre parte di Pantalone) l’onere della spesa. Inoltre , vengono fatte nutrire illusioni sui risparmi che deriverebbero dall’accorpamento degli enti previdenziali, nonché dalla creazione di nuove agenzie (di norma le agenzie, sottospecie dei carrozzoni pubblici di cui si parlava un tempo, comportano spese non risparmi).
Non solo non si parla di tagli alla spesa (e quindi alle tasse ) ma mentre Romano Prodi rientrava da New York la sinistra “radical-reazionaria” ha nuovamente tirato fuori dal cappello l’idea di aumentare l’aliquota sulle rendite finanziarie- un aumento che, da un lato, colpirebbe principalmente il ceto medio e, dall’altro, frenerebbe il già modesto afflusso di capitali (e di investimenti diretti esteri) alla volta dell’Italia.
“Soprattutto non facciamo illusioni”, come diceva, al termine di ciascuna lezione, il buon Isahia Frank. Secondo gli ultimi spifferi di Palazzo Chigi, la “manovra” che, se benedetta dal sinedrio dell’Unione, arriverebbe venerdì in Consiglio dei Ministri ammonterebbe a 10.575 milioni di euro di cui 6.050 milioni attraverso il maggior gettito fiscale e 4.525 milioni attraverso i tagli di spese. I secondi sono in gran parte un’impressione ottica. Il primo dipende , in parte, da una crescita ipotizzata a livelli molto più elevati (1,7%) di quelli realisticamente stimabili (1-1,3% del pil) e dalla speranza che proseguano ancora gli effetti delle misure sulle entrate approvate nella precedente legislatura.

PRODI SI E’ SCORDATO L’AGGIORNAMENTO DEL DPEF

Se tutto andrà come previsto da Prodi & Co. (ossia se nel processo di preparazione della finanziaria non si arriverà ad una rottura della coalizione ed ad una crisi di governo), domani 28 settembre sul tavolo del Consiglio dei Ministri, convocato per il pomeriggio, ci dovrebbe essere non solo la bozza di disegno di legge sul bilancio annuale e pluriennale dello Stato (il nome tecnico della finanziaria) ma anche la nota di aggiornamento del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef). Testo di cui nessuno pare voler parlare (forse per pudicizia).
Dal 28 giugno, quando TPS ha presentato il Dpef alla stampa in 26 diapositive su elegante fondale blu notte, sono passati tre mesi. Densi però di avvenimenti: le tensioni sui mercati finanziari connessi alla crisi della finanza strutturata basata (in parte) su mutui inesigibili, l’indebolimento del valore internazionale del dollaro (e di conseguenza l’aumento di quello dell’euro), l’infiammata dei prezzi del petrolio (e di molte altre materie prime e derrate alimentari), il collasso del negoziato internazionale Omc (Organizzazione mondiale del commercio) sugli scambi di merci e servizi, il cambiamento di guida al Fondo monetario ed alla Banca mondiale. L’elenco potrebbe continuare.
La base stessa di qualsiasi politica di bilancio sono le ipotesi in materia di scenario macro economico. Nella slides n.12 il sorridente TPS (il 28 giugno) dava a sé stesso (ed al Governo tutto) pacche sulle spalle autocongratulandosi per la crescita del 2% stimata per il 2007 e di quella dell’1,9% prevista per il 2008. Nelle ultime settimane, TPS ha parlato che nell’anno in corso la crescita sarà leggermente inferiore (circa 1,8%) ma non ha ancora presentato un quadro contabile completo e coerente, basato su lavoro econometrico. Silenzio completo – notte e nebbia potrebbe dirsi – in materia di 2008. Specialmente da parte del cauto VVV (Viceministro Vincenzo Visco) che di solito da il “là” al “tecnico” TPS.
Il 20 settembre il Centro Studi Confindustria (Csc) ha proposto stime econometriche per il 2007 (una crescita dell’1,7%) che non si distanziano molto dalle dichiarazioni di TPS unitamente, però, a previsioni per il 2008 che evocano un forte rallentamento dell’economia italiana(1,3%). Occorre tenere conto che il rallentamento stimato dal Csc non incorpora le previsioni più recenti , e più fosche, sull’economia americana (a cui l’andamento economico italiano è molto legato). Un’indagine dell’Economist Intelligence Unit (di cui il fascicolo del 22-28 settembre del settimanale britannico ha riportato un’ampia sintesi) vede un “world’s downturn” (addirittura recessione mondiale, anche se non molto profonda). Non molto più incoraggiante il confronto tra le previsioni Isae, Prometeia e Cer organizzato per la mattina del 27 settembre dall’Associazione Economia Reale , presieduta da Mario Baldassarri dell’Università di Roma “La Sapienza”.
Secondo miei calcoli preliminari c’è un’alta probabilità che nel 2008 l’Italia riporti una crescita rasoterra (inferiore all’1%) a ragione non solo del contesto internazionale ma anche della salassata fiscale attuata con la finanziaria 2006 i cui effetti su investimenti e consumi si avvertono di norma con un lasso temporale di un paio di anni.
Il rallentamento non giunge da solo, ma accompagnato da una nuova ondata di inflazione . Secondo la slide n. 13 di TPS l’aumento dei prezzi al consumo nel 2008 sarebbe dovuto essere soltanto dell’1,7%. Tuttavia, il forte sviluppo dell’Asia e dell’America Latina ha creato una nuova classe di produttori , e di consumatori, con una forte domanda di merci di ogni natura e, quindi, dei prodotti di base per farne manufatti. Negli ultimi cinque anni, i prezzi del petrolio sono aumentati del 158%, quelli del frumento del 126%, quelli del nickel addirittura del 415%. Alla Banca centrale europea, si stima che nel 2008 sarà difficile tenere la crescita dell’inflazione nell’area dell’euro al di sotto del 2% (come prescritto negli Statuti dell’istituto), alla Federal Reserve si ritiene che nell’eurozona l’inflazione viaggerà sul 2,5% l’anno, costringendo la Bce ad una manovra restrittiva.
Se l’aggiornamento del Dpef dirà tutto ciò, in termini chiari e trasparenti, dovrà anche giustificare una manovra di finanza pubblica analoga a quelle che si facevano negli Anni 80 con un occhio alla crescita e l’altro ai prezzi. Da tale manovra pare distinguersi molto la legge di bilancio che sta per essere vagliata dal Consiglio dei Ministri. La finanziaria (ed i collegati assortiti) dovranno essere comunque valutati (sotto il profilo macro-economico) alla luce di questi sviluppi. Futile dire che la crescita (che non ci sarà) genererà gettito fiscale per 6.050 milioni ed ancor più illusorio affermare che si taglieranno spese per 4.525 milioni riorganizzando gli istituti di previdenza e mandando a casa qualche anno prima qualche statale, professore universitario e magistrato. Significa dovere correre ai ripari già all’inizio della primavera. Sempre che allora non ci si vada a contare.

martedì 25 settembre 2007

IL DOPPIO DRIBBLING DI PRODI E PADOA-SCHIOPPA

Il disegno di legge sul bilancio annuale e pluriennale dello Stato (il titolo aulico di quanto comunemente conosciuto come legge finanziaria) dovrebbe essere varato dal Consiglio dei Ministri del 28 settembre, sempre che gli intoppi non costringano il Governo a fare le ore piccole la domenica del 30 settembre. In Italia non si usa (come invece si fa a Bruxelles) fermare l’orologio. La legge è lapalissiana: il ddl deve andare all’esame del Parlamento a partire dal primo ottobre. Il “vertice” dell’Unione convocato per domani 26 settembre dovrebbe essere l’ultimo passaggio (diciamo la prova generale della riunione del Consiglio dei Ministri di venerdì) che sino ad ora non ha seguito la prassi consueta al fine di mantenere le dimensioni ed i contenuti della manovra molto oscuri. E’ in questa notte e nebbia che Prodi starebbe tentando, in gergo calcistico, un doppio dribbling: riuscire, in parallelo, ad includere nei testi alcuni punti essenziali del Protocollo del 23 luglio sul welfare (in particolare le modifiche alla normativa sulla previdenza varata nel 2004) ed in contraccambio soddisfare i Ministri della spesa con stanziamenti nettamente inferiori a quanto richiesto il 10 settembre (data in cui i singoli dicasteri hanno posto sul tavolo della finanziaria i loro piani per i prossimi tre anni).
Tale doppio dribbling non sarebbe stato concepibile seguendo la prassi instaurata con il Patto sociale del 23 luglio 1993 (il Patto di San Tommaso orchestrato da Carlo Azeglio Ciampi allora Presidente del Consiglio). Tale prassi avrebbe richiesto una sessione sulla politica dei redditi all’inizio di settembre, una discussione con le parti sociali della bozza di finanziaria (nonché dei vari collegati) ed altri passaggi che, come in passato, avrebbe reso da tempo pubblico il contenuto del documento. Una pubblicità che, dopo lo strappo Fiom, avrebbe reso ancora più difficile coagulare il consenso degli 11 partiti della coalizione di Governo.
Prodi e TPS sono alle prese con la messa a punto di una finanziaria schiacciata tra procedure normative, ammonimenti di Ue, Fmi ed Ocse e cattive notizie che arrivano ogni giorno (l’ultima è di questo fine settimana) sull’andamento dell’economia reale nel 2008. Mentre il 20 settembre, il Centro studi confindustria (Csc) ha stimato una crescita dell’1,3% del pil italiano nel 2008 (notevolmente inferiore al 2% previsto nel Dpef di luglio), dopo il nuovo deprezzamento del dollaro ed i crescenti timori di una recessione Usa, i maggiori centri di analisi econometria ora affermano che a male pena si sfiorerà l’1% , con implicazioni molto serie in materia di produzione, redditi, consumi e gettito. Sono, quindi, in dubbio quelli i due punti che sembravano fermi della manovra a) un rapporto tra disavanzo e pil non superiore al 2,2%, b) una leggera riduzione delle aliquote (dell’Ires e dell’Ici) con finalità, però, più mediatiche che sostanziali. Prodi ha già messo le mani avanti in materia di aliquote e si accontenterebbe di un rapporto disavanzo:pil al 3% (adeguato ad evitare pesanti rimbrotti in sede Ue).
Il dribbling riguarda, in primo luogo, la procedura legislativa: il progetto è di una finanziaria secca e snella , accompagnata da un decreto legge fiscale (Ires, Ici e forse qualche altra piccola cosa) ed un collegato. Con il collegato si dovrebbe dare corpo al Protocollo del 23 luglio scorso: con i referendum tra gli iscritti ai sindacati in programma il 10 ottobre e la manifestazione del 20 ottobre (nonché le primarie per il Partito Democratico PD il 14 ottobre) è difficile avere le idee chiare prima della fine di ottobre. Trasformarlo in un decreto legge, lo pone a rischio di bocciatura alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, e di conseguente entrata in vigore dello “scalone previdenziale” della Legge Maroni il primo gennaio 2008. Eventualità che potrebbe fare implodere la maggioranza. Il marchingegno consisterebbe nell’iniziare l’esame del collegato (a ritmo accelerato) in un ramo del Parlamento, mentre l’altro è alle prese con la finanziaria. Ciò piacerebbe al vasto arco di avversari dello “scalone”- sarebbe un vero e proprio dribbling, però, nei confronti dei regolamenti parlamentari.
Se l’operazione riesce (ma l’opposizione dispone di veri e propri barracuda-esperti in materia di regolamenti parlamentari), in cambio della abolizione dello “scalone” molti Ministeri frenerebbero i propri appetiti: tre lustri di riduzioni di numerose voci di spesa (specialmente acquisti di beni e servizi ed investimenti) ed il tanto parlare di”tesoretti” (l’ultimo di 8 miliardi di euro è spuntato fuori il fine settimana del 15-16 settembre) hanno destato richieste per spese aggiuntive di almeno 20 miliardi di euro proprio mentre il gettito minaccia di essere nel 2008 meno generoso di quanto lo è stato nel 2007. Il braccio di ferro tra TPS e VVV (Vice Vincenzo Visco), da un lato, ed i loro colleghi di Governo, dall’altro, sembra giunto a soluzione al Consiglio dei Ministri del 21 settembre; uscendo dalla riunione il Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, ha parlato di una manovra di 10 miliardi (la metà delle richieste del 10 settembre, quindi altro dribbling). Il tutto si basa su una buona dose di nasometria in materia di andamento economico e suoi effetti sui conti pubblici. Parte importante della strumentazione tecnica costruita faticosamente dall’Istat tra la fine degli Anni 80 e la prima metà degli Anni 90 (per migliorare le scelte in situazioni come l’attuale) è finita sotto la scure dei tagli del 1996 – quando Romano Prodi era a Palazzo Chigi –, non è più stata aggiornata (i dati della matrice di contabilità sociale- ossia il quadro contabile dei flussi tra settori ed istituzioni in Italia sono rimasti al 1994) ed è ora inservibile. Ma per il dribbling, la speditezza conta più della tecnica.

lunedì 24 settembre 2007

IL QUADERNO BIANCO SULLA SCUOLA E LE SCELTE BIPARTISAN

A pochi giorni di distanza (ed alla vigilia della presentazione della legge finanziaria), il Governo ha diramato due documenti molto differenti tra loro: a)il libro verde sulla spesa pubblica; e b) il quaderno bianco sulla scuola. Alla lettura del primo si ha l’impressione di essere alle prese con un semi-lavorato denso di denunce sull’inefficienze della spesa pubblica ma privo non solo di raccomandazioni su come superarle ma anche dell’indicazione di strumenti su come affrontare i problemi puntuali. Il secondo, presentato il 21 settembre e on line dal 24 settembre sul sito www.istruzione.it non contiene unicamente una diagnosi di problemi peraltro noti ai lettori di ItaliaOggi ma soprattutto (oltre metà delle circa 200 pagine a stampa fitta) indicazioni di una possibile terapia. Secondo il “quaderno bianco” tale terapia è già stata concordata, nelle grandi linee, con le organizzazioni sindacali del settore nel giugno 2007 e, quindi, ha una buona probabilità di venire attuata anche nell’eventualità di cambiamento di maggioranza, di Governo e di nuove elezioni. Una strada “bipartisan”, come insegnano i “White Papers” britannici – un “unicum” per molti aspetti nel nostro Paese dai tempi del piano generale dei trasporti del 1986.
Il quaderno conferma, in un’ottica bipartisan, l’esigenza e l’opportunità di proseguire il percorso avviato per rafforzare l’autonomia degli istituti nel quadro di un contesto generale in cui lo Stato definisce gli indirizzi generali ed il livello minimo di prestazioni. Pone l’accento su come ottimizzare la risorsa più importante del settore: gli insegnanti- A tal fine, per la prima volta in Italia, viene costruito un modello per prevedere e programmare a medio-lungo termine il fabbisogno territoriale di insegnanti e di organici (anche alla luce di modifiche di politiche del settore o di politiche alternative); è un modello, dunque, sia di previsione sia di simulazione, superiore a quelli utilizzati in molti Paesi Ocse. Sulla base di questo modello, propone un disegno operativo per proseguire la costruzione di un sistema nazionale di valutazione degli apprendimenti da parte degli studenti, nonché dell’efficienza e dell’efficacia di ogni singola scuola. Avanza, poi, proposte puntuali in materia di formazione iniziale e reclutamento, incentivazione, assegnazione degli insegnanti alle scuole e formazione permanente in servizio. Offre, infine, raccomandazioni specifiche (e coerenti con l’impianto generale del documento) per l’azione aggiuntiva (per 3,6 miliardi di euro) da svolgere, con il supporto comunitario, nel Mezzogiorno nel periodo 2207-2013.
La scuola è uno dei settori più vasti della società italiana in quanto concerne diversi milioni di studenti, famiglie, insegnanti, e personale amministrativo. Il capitale umano ed il capitale sociale (che nascono e si alimentano nelle aule scolastiche) sono la leva principale dello sviluppo economico; quindi, come rilevato dal recente studio della Confindustria “Una democrazia funzionante per una politica economica riformatrice” (presentato il 20 settembre, quindi la vigilia della diramazione del documento sulla scuola), una istruzione di qualità è essenziale per le imprese ed il mondo della produzione e dei servizi in generale.
Le proposte specifiche del “quaderno bianco” sono tanto numerose che non possono, e non debbono, accontentare tutti coloro che hanno interessi legittimi nel settore. Il “quaderno”, tuttavia, pone il dibattito al di sopra delle beghe di bottega, accettando implicitamente anche la parte del percorso riformatore effettuata nella precedente legislatura. E soprattutto offre strumenti nuovi (il modello di previsione e simulazione) che potranno essere utili a chiunque abbia la responsabilità del settore.

FINANZIARIA ANCORA TROPPI NODI DA SCIOGLIERE

Prodi è New York, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Una parte della maggioranza (il Presidente della Commissione Attività Produttive e la vasta rete di seguaci che ha animato) ha fatto, sabato 22 settembre, d’intesa con l’opposizione, una manifestazione di protesta contro quella riforma della previdenza che dovrebbe essere uno dei punti fondanti della legge di bilancio. Il 20 ottobre un’altra parte della maggioranza (quella radical-reazionaria) va in piazza (proprio mentre il ddl dovrebbe essere in discussione in Parlamento) in senso opposto: sono contro il “Protocollo del Welfare” che include tanto la riforma della previdenza quanto il riassetto degli ammortizzatori sociali e del mercato del lavoro. Da ora al 20 ottobre, nelle fabbriche, ilo sindacato (che dovrebbe essere il pilastro del Governo di centro sinistra la cui guida, nominale, è affidata a Romano Prodi) conduce i referendum sul “Protocollo”in questione. Mentre ,al bar dei delegati, Prodi gusta “brandy & soda”, drink tipico dell’Onu, ammirando i tramonti di Turale Bay, TPS (sotto l’occhio vigile di VVV-Viceministro Vincenzo Visco) deve dipanare la complessa matassa.
Si pensava che il valzer delle cifre fosse finito con l’annuncio “storico”, al termine del Consiglio di Ministri del 21 settembre, fatto dal Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero (Ministro dell’Economia “ombra” all’interno dello stesso Governo Prodi, fatto unico più che raro nelle democrazie occidentali) secondo cui la finanziaria sarebbe stata di 10 miliardi di euro. Il suo collega Fabio Mussi si è inalberato: almeno 21 miliardi dato che sette sono già stati impegnati con decisioni appena prese questo esercizio finanziario ma a valere sul prossimo. Altre stime parlano di 17 miliardi – dieci nella finanziaria vera e propria e sette in un decreto legge fiscale (ma non si dovevano ridurre l’imposizione o almeno stabilizzarla?).
Al valzer delle cifre corrisponde quello delle procedure. Ammesso il percorso istituzionale (sessione di politica dei redditi , scambio di idee sulle bozze dei documenti con le parti sociali) viene ormai considerato un optional perditempo dagli 11 partiti della coalizione – ma non dai sindacati, arrabbiati neri per “il tradimento del Patto di San Tommaso”, l’accordo del 23 luglio 1993, orchestrato da Ciampi, in cui si definirono le procedure per la concertazione della legge di bilancio) pare che unicamente mercoledì 26 settembre, al vertice dell’Unione (ossia in una sede extra-istituzionale, altro aspetto peculiare in una democrazia occidentale), si deciderà come risolvere il nodo centrale: l’interazione tra provvedimenti scaturenti dal “Protocollo del Welfare” e la finanziaria (in particolare il superamento dello “scalone previdenziale” della riforma del 2004 e che entra in vigore il primo gennaio 2008).
A Prodi, al Palazzo di Vetro, pare non lo abbiamo ancora detto, ,ma si sarebbe respinta (a ragione dei regolamenti parlamentare) l’idea di fare viaggiare finanziaria e collegato in cui alte differenti del Parlamento per arrivare ad un’approvazione congiunta dei due testi entro il 31 dicembre. L’orientamento sarebbe di mettere il superamento dello “scalone” previdenziale nel decreto legge fiscale. Autorevoli giuristi della stessa sinistra ammettono che si tratterebbe di deroga importante alla Costituzione. Il nodo, però, non è solamente giuridico: una bocciatura alla Commissione Affari Costituzionali equivarrebbe a mandare a casa il Professore (prospettiva che non rattrista gran parte della coalizione) ed andare verso un Governo tecnico (Franco Marini e Lamberto Dini si stanno scaldando i muscoli) che prepari o l’irresistibile ascesa dell’operatore cinematografico Valter Veltroni o porti l’Italia alle urne (ipotesi che fa esultare l’opposizione ma rattrista gran parte della maggioranza).
A pochi giorni dai termini di legge per la presentazione alle Camere del disegno di legge sul bilancio annuale e pluriennale dello Stato, la danza della finanziaria ha un suono ed un sapore macabro. Non soltanto per Romano Prodi. Ma per un’Italia a cui, a ragione del super-euro, della crisi subprime e soprattutto dei danni inferti con l’aggravio fiscale dell’anno scorso, si prospetta una crescita rasoterra nel 2008.

OLTRE I CONFINI PER NON RESTARE AL BUIO

In dialetto romano, “moccolo” (o“moccoletto”, vocabolo usato ancora più spesso) vuole dire lumicino di cera con una flebile fiammella. Un tempo, prima dell’avvento dell’elettricità, era lo strumento di cui si disponeva per tentare di illuminare la lettura dopo il calare del sole. Oggi, i “moccoli”, a luce flebile ma elettrica, esistono quasi esclusivamente al camposanto.
Tuttavia, da qualche tempo c’è la prospettiva di riutilizzare i lumicini di cera oppure le candele oppure ancora i lumi ad olio in caso di blackout . Se ne parla di tanto in tanto; ne abbiamo sperimentati alcuni che hanno paralizzato per diverse ore parte dell’Italia. In un contesto in cui l’energia idrica è in sofferenza per il cambiamento del clima (ed il graduale prosciugarsi dei ghiacciai) ed in cui il prezzo internazionale del petrolio è aumentato del 33% in un anno (e del 18% soltanto nell’ultimo mese), la politica energetica sta assumendo un ruolo centrale per lo sviluppo economico, od anche soltanto per il mantenimento degli standard di vita raggiunti. Dopo anni di torpore,se ne è accorta la stessa Commissione Europea, piuttosto restia ad entrare in questo campo. La molla che le ha fatto fare il salto è stata la vera e propria tenaglia in cui si trova l’Ue per l’approvvigionamento di gas naturale – stretta tra le società a partecipazione statale dell’Algeria e della Russia , imprese che non operano unicamente con finalità aziendali ma agiscono dietro chiaro impulso politico.
Il tardivo, ma ciononostante utile, documento della Commissione non riguarda soltanto i barracuda-esperti del settore (confraternita di cui per un paio di lustri ha fatto parte anche il vostro chroniqueur) ma noi tutti- individui, famiglie, imprese, pubblica amministrazione, politica. E’ un testo ostico. In sintesi propone tre linee di azione: a) una maggiore competizione tra aziende europee del settore al fine di rafforzarle; b) per consentire tale slancio una separazione giuridica (ossia societaria) tra produzione, da un lato, e trasporto distribuzione di energia, dall’altro; c) la sempre più spinta diversificazione delle fonti di energia (in altri termini, come anticipava “The Economist” due settimane fa- la riconsiderazione del nucleare in quei Paesi, come l’Italia, che nel 1986 , dopo l’incidente di Chernobyl, hanno pensato di poterne fare a meno).
Il dibattito politico si è accesso principalmente sulla separazione tra produzione e reti (pure i verdi più ecologisti hanno ingoiato la necessità di riaprire la porta al nucleare). Francia e Germania sono i due Stati Ue che più si oppongono all’idea al fine di difendere i loro “campioni nazionali”. L’Italia ha preso un atteggiamento più moderato esprimendo riserve solamente in materia di trasporto di gas (sulla base di ragioni tecniche che la rendono differente dalla rete per il trasporto di elettricità).
Mai come in questo campo (e con lo spettro del ritorno al moccolo) difendere l’esistente è una strategia perdente. In primo luogo, lo scorporo delle reti dalle aziende di produzione è un mezzo per rendere più competitivo il mercato non un fine in se stesso. In secondo luogo, sono possibile varie modalità, tra cui mantenere la proprietà della rete ma affidarne la gestione ad una società indipendente- meglio ancora se partecipata da varie imprese, anche a partecipazione statale, dell’Ue. In terzo luogo, in un’Europa sempre più stretta (si veda il libro di Mario Baldassarri e Pasquale Capretta The World Economy towards Global Disequilibrium- American-Asian Indifference and European Fears) baloccarsi con “campioni nazionali” appartiene al passato. Occorre invece pensare (proprio in settori come l’energia) a “campioni europei”, quali proposti dalla stessa Francia in sede Ue circa due anni fa. La soluzione è a portata di mano. Non facciamocela sfuggire.

venerdì 21 settembre 2007

Finanziaria, mancano dieci giorni e il Governo non sa che fare da l'occidentale

Siamo a dieci giorni circa dalla presentazione della legge di bilancio (in gergo la legge finanziaria) al Parlamento.
Non è ancora iniziata quella sessione di politica dei redditi (con esposizione dei contenuti della bozza di finanziaria alle parti sociali) prevista dall’Accordo del 23 luglio 2003, che a 14 anni di distanza il Presidente del Consiglio Romano Prodi afferma di considerare come la “stella polare” del suo metodo di fare politica economica (ricalcato su quello del suo predecessore, e successivamente, Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi).
Al contrario, ogni giorno, ove non ogni ora, filtrano notizie (più o meno affidabili) sulle tecniche legislative e sui contenuti del ddl in cantiere. Vediamo perché, senza soffermarci sulle differenze tra le varie componenti della coalizione – caratteristica nota a tutti e banalmente riferita in gran parte dei commenti sulla legge in preparazione.
Il nodo di fondo (quali che siano le divergenze tra gli 11 partiti di Governo) è che l’Esecutivo è alle prese con la messa a punto di una finanziaria schiacciata tra differenti procedure normative, gli ammonimenti di Ue, Fmi e quant’altro, le richieste dei Ministeri dopo tre lustri di vacche magre iniziati con la decisioni di entrare nel gruppo di testa dell’euro (e la successiva svalutazione della lira) e le nubi sul quadro economico mondiale (soprattutto in merito alle effettive possibilità di porre al riparo l’Europa da un eventuale ciclo negativo Usa – in gergo decoupling).
Al momento sembra ci siano soltanto due punti fermi:
a) l’obiettivo di un rapporto tra disavanzo e pil non superiore al 2,2%
b) una leggera riduzione delle aliquote (dell’Ires e dell’Ici) con finalità, però, più mediatiche che sostanziali (dato che lo stesso Prodi afferma in video che la pressione tributaria-contributiva non scenderà).
Vediamo i singoli punti in cui si naviga a vista. Il tema della procedura legislativa non è banale: una finanziaria di centinaia di commi (come quella dell’anno scorso) non verrebbe accettata da nessuno (soprattutto non la ingoierebbe il Quirinale). Quindi, il progetto è di una finanziaria secca e snella, accompagnata da un decreto legge fiscale (Ires, Ici e forse qualche altra piccola cosa) ed uno o due collegato.
I problemi sostanziali riguardano i collegati (con il quale si dovrebbe dare corpo al Protocollo del 23 luglio scorso): con i referendum tra gli iscritti ai sindacati in programma il 10 ottobre e la manifestazione del 20 ottobre (nonché le primarie per il Partito Democratico PD il 14 ottobre) è difficile avere le idee chiare prima della fine di ottobre.
Trasformarlo in un decreto legge, lo pone a rischio di bocciatura alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, e di conseguente entrata in vigore dello “scalone previdenziale” della Legge Maroni il primo gennaio 2008. Eventualità che potrebbe fare implodere la maggioranza. I giuristi che collaborano con il Governo si stanno arrovellando. L’ultima pensata è quella di fare iniziare l’iter dei collegati ad un ramo del Parlamento, mentre l’altro esamina la finanziaria in senso stretto. Ma ciò cozza con i regolamenti parlamentari.
La tenaglia tra ammonimenti internazionali, richieste dei Ministeri e ciclo internazionale (nonché possibilità di decoupling) sono sfaccettature dello stesso problema. Per tenere il disavanzo al 2,2% del pil, nel 2008 l’economia italiana deve crescere almeno dell’1,7%. E’ uno scenario improbabile: le stime econometriche parlano dell’1,5% e sottolineano un alto grado di rischio.
Il 20 settembre, ad esempio, il Centro Studi Confindustria (Csc) ha presentato stime di un mero 1,3%. Il quadro potrebbe essere ancora peggiori se si è trascinati da un ciclo economico negativo Usa.
Nell’ultimo fascicolo di Economic Policy, Philip R: Lane dell’Università di Dublino e Gian Maria Milesi-Ferretti del Fondo monetario pubblicano un saggio su Europe and Global Imbalances da cui si ricavano gli stretti nessi tra il ciclo economico Usa e quello dell’Ue- dell’Italia in particolare. Più che di rischio si dovrebbe parlare di incertezza in quanto le stesse autorità monetarie americane (come si vede dal dibattito di queste settimane sui tassi d’interesse) sembra stiano andando a tentoni.
Molti Ministeri si considerano, invece, in acque tanto sicure da potere portare conti salati a Via Venti Settembre: tre lustri di riduzioni di numerose voci di spesa (specialmente acquisti di beni e servizi e investimenti) ed il tanto parlare di”tesoretti” che si scoprono a destra e a manca (l’ultimo di 8 miliardi di euro è spuntato fuori il fine settimana del 15-16 settembre) hanno destato appetiti per spese aggiuntive di circa 22 miliardi di euro.
Come effettuare scelte tra tante domande, poche risorse e un quadro generale di incertezza? Sono in corso bracci di ferro tra TPS e VVV (Vice Vincenzo Visco), da un lato, e i loro colleghi di Governo, dall’altro. Nonché una buona dose di nasometria. Parte importante della strumentazione tecnica costruita faticosamente dall’Istat tra la fine degli Anni 80 e la prima metà degli Anni 90 (per migliorare le scelte in situazioni come l’attuale) è finita sotto la scure dei tagli del 1996 – quando Romano Prodi era a Palazzo Chigi – e non è più stata aggiornata (i dati della matrice di contabilità sociale sono rimasti al 1994) ed è ora inservibile.
21 Settembre 2007

giovedì 20 settembre 2007

CONCERTO MULTIETNICO E RIELABORAZIONE DEL FLAUTO MAGICO DI MOZART

Questa è più che una recensione la cronaca di un adattamento, ancora in costruzione, del Flauto Magico di Wolfgang Amadues Mozart, ad opera dell’Orchestra multietnica di Piazza Vittorio, un ensemble creato nel 2002 per iniziativa di alcuni giovani italiani e stranieri del quartiere Esquilino della capitale che il 18 settembre si è esibita al Teatro Costanzi, la sede maggiore del Teatro dell’Opera di Roma, esaurito sino all’ultimo strapuntino. Dell’ensemble fanno parte quattordici uomini e due donne provenienti da Europa, Africa e Americhe. Suonano con strumenti originali delle loro terre di origine. Cinque sono italiani, un ungherese, due tunisini, due senegalesi, due cubani, un ecuadoregno, un brasiliano ed un argentino. La caratteristica di fondo – componente essenziale del loro successo, è la fusione di pop, jazz, musica etnica di strada ed anche classici. L’orchestra di Piazza Vittorio non è sovvenzionata dallo Stato, tutti gli artisti hanno permessi di soggiorno regolari (spesso svolgono anche un altro lavoro) ed in quattro anni hanno tenuto circa trecento concerti, partecipando a vari festival internazionali ed ottenendone spesso premi.Il loro repertorio tradizionale si sta diversificando per entrare nel campo della musa bizzarra ed altera, la lirica. La seconda parte del concerto presentato all’Opera di Roma (la prima era dedicata a brani tipici dell’ensemble) è un adattamento, in progress, del mozartiano “Flauto Magico”- di cui viene rappresentata, in versione di concerto, la prima scena (in breve, ouverture, Pamino e mostro, arrivo delle tre Dame, arrivo di Papageno e aria della Regina delle Notte). Il programma è di completare il lavoro nel 2008 e nel 2009 e di essere in grado di eseguirlo interamente tra 18 mesi.Abbiamo, quindi, avuto un assaggio.Si tratta di una rielaborazione molto differente da quelle effettuate da musicisti contemporanei (Henze) o del Novecento storico (Malipiero) di classici del Cinque-Seicento, spesso tramite manoscritti privi di orchestrazione oppure di adattamenti per organici ridotti oppure ancora per un pubblico di bambini. Il tentativo (a cui non si può non augurare successo) è quello di creare, partendo dall’originale, un Flauto Magico multietnico e di strada. I vari momenti musicali sono raccordati da un narratore che interpreta con spirito la vicenda. C’è per il momento una sola voce: il percussionista senegalese, un baritono leggero, nel ruolo di Papageno. Le tre dama, la Regina della Notte ed il Tamino della mirabile aria del ritratto sono affidati a varie parti dell’ensemble con strumenti e suoni dal colore e calore di terre lontane.E’ naturalmente prematuro formulare anche un preliminare giudizio. Occorre, però, dire che il pubblico ha accolto il tentativo con ovazioni da stadio. Il rinnovamento dell’opera passa anche per questi esperimenti.
Giuseppe Pennisi
La locandina
Data dello spettacolo: 18/09/2007

mercoledì 19 settembre 2007

La cultura che rende

La cultura rende? Gli economisti danno che i saggi di rendimento economico degli investimenti in beni ed attività culturali superano spesso quelli in attività direttamente produttive e commerciali. La musa bizzarra ed altera – così è stata chiamata l’opera lirica – contribuisce anch’essa allo sviluppo – non solo a quello locale grazie a festival di prestigio- ma anche a quello di un Paese ad economia economica aperta ed il cui andamento dipende in misura significativa dall’export. Un’iniziativa importante di “esportar cantando” – ricordiamoci che “recitar cantando”è stato il motto con il quale circa mezzo millennio fa la camerata fiorentina ha dato vita alla lirica – è in corso da alcuni anni ad opera del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “Adriano Belli”, un’istituzione che in 60 anni di attività ha il vanto di avere formato gran parte dei maggiori cantanti lirici italiani. In passato ha portato in Giappone “La Traviata”, “Le Nozze di Figaro”, “Il Barbiere di Siviglia” ed altre opere visitando non solo le maggiori città ma anche i capoluoghi delle più importanti province. La settimana scorsa ha firmato un accordo quadro con le autorità nipponiche.
La prossima tournée potrebbe essere quella del verdiano “Trovatore” di cui è stato lanciato un nuovo allestimento. La produzione utilizza scene “d’epoca”, firmate da Tito Varisco, dell’inizio degli Anni 60. Hanno un indubbio fascino ma sono macchinose . Dunque, la serata comporta tre intervalli e circa cinque minuti di cambio-scena tra uno e l’altro degli otto quadri. Ciò spezza la tensione drammatica e pone forti vincoli alla regia. Dovrà essere probabilmente alleggerito per la tournée giapponese e per quella nei principali teatri dell’Umbria , che seguirà nuove repliche a Spoleto.
Encomiabili gli aspetti musicali. L’orchestra è composta da giovani borsisti dell’Ue che guidati da Carlo Palleschi, hanno affrontato valentemente la scrittura verdiana. Tra le voci, occorre distinguere tra i debuttanti (o quasi) e coloro già in carriera. Maria Agresta, Costantino Finucci e Aleksanar Stefaniski – tutti e tre sui 25 anni o poco più - sono già più che promesse sia vocalmente sia per efficacia in scena. Di ottimo Federica Proietti; lanciata a Spoleto alcuni anni fa, canta ora abitualmente nei maggiori teatri europei
Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto Adriano Belli
IL TROVATORE
Melodramma in quattro atti (otto quadri) di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi

Regia e Costumi Lucio Gabriele Dolcini
Scene Tito Varisco
Direzione Musicale Carlo Palleschi
Maestro del Coro…………………………… Andrea Amarante

Orchestra e Coro del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A.Belli”

Il Conte di Luna………………………………Costantino Finucci
Leonora………………………………………...Maria Agresta
Manrico………………………………………...Ernesto Grisales
Ferrando………………………………………..Aleksandar Stefanoski
Azucena………………………………………….Federica Proietti
Ines Lucia Knotekova
Ruiz……………………………………………...Gabriele Mangione

Prodi aspetta la Fed e studia una strategia

Nel tardo pomeriggio di oggi 18 settembre, tenendo conto delle differenze di fuso orario, sapremo se e di quanto il Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto della Federal Reserve ha ritoccato all’ingiù l’interbancario – il tasso direttore del mercato americano, dove invece il discount rate è il saggio applicato dalla Riserva Federale al numero limitato di banche direttamente assicurato con la Fed. La riunione della Fed inizia tradizionalmente alle 10 del mattino (ora di Washington D.C); raramente il comunicato viene diramato prima delle 13 (ora Costa Orientale Usa). Spesso si aspetta di pubblicarlo a mercati chiusi (cioè quando da noi è notte alta). A questa prassi, però, non mancano eccezioni – quando i componenti del Comitato sono concordi (e c’è di fatto un accordo precostituito).
Ci sono le condizioni che dovrebbero indurre ad un ribasso. Non tanto la crisi dei Cdo (Colleteral debt obligations con un’elevata componente di mutui subprime) od il panico scatenatosi Oltre Manica (che potrebbe ripetersi Oltre Oceano) per il timore di una crisi di liquidità di un istituto di credito (la Northern Rock) che riempito questi ultimi giorni i quotidiani britannici (e non solo) di foto di lunghe file allo sportello di clienti intenzionati a ritirare depositi e chiudere conti. Due indicatori eloquenti (lo spread dei tassi tra interbancario e buoni del Tesoro a due anni – in termini tecnici la curva dei rendimenti “rovesciata”- e l’andamento dell’occupazione) sembrano indicare che gli Usa sono sulla soglia di una brusca frenata che potrebbe diventare una recessione. Attenzione, le stime del consensus ( quelle dei 20 istituti di analisi econometrica su cui si basano anche quelle del nostro Dpef, relativi aggiornamenti e relazione alla finanziaria in fase di stesura) affermano ancora che nel 2008 il pil Usa crescerebbe del 2,8% (trainando l’economia atlantica), ma le simulazioni effettuate a Constitution Ave. N.W. di Washington D.C. (l’edificio in stile tardo fascista dove ha sede la Fed) la sera del 14 settembre (e continuate durante il fine settimana) mostrano invece che l’economia sta scivolando verso crescita zero, ove non verso uno od anche due trimestri di crescita negativa.
Gli Statuti della Fed (a differenza di quelli della Bce) non chiedono alle autorità monetarie di vigilare soltanto sui prezzi ma anche di assicurare la crescita, purché non inflazionistica. Ciò significa (argomento frequente delle conversazioni di questi giorni al Cosmos Club, il circolo della capitale Usa più frequentato da Ben Bernanke) prevenire una recessione, od anche solamente una stagnazione. Di fronte al timore che la frenata porti alla prima od anche solamente alla seconda, stanno aumentando le pressioni perché l’interbancario venga ridotto almeno dal 5,35% al 4,75% od anche al 4,50%. Ciò renderebbe senza dubbio più appetitose altre attività finanziarie, ridurrebbe l’avversione al rischio e rilancerebbe i mercati.
Da sola, però, la Fed non riuscirà a porre l’economia su un sentiero di crescita sostenibile di lunga durata il cui segnale principale sarebbe la contrazione del disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (ed una risalita del valore del dollaro sui mercati internazionali). Si devono attivare le altre leve della politica economica, specialmente della politica di bilancio. Con una campagna elettorale e azioni militari in corso, ciò non è affatto semplice.
Il Governo Prodi attende di sapere cosa farà la Fed e soprattutto se ed in che misura i segnali di un rallentamento dell’economia Usa incideranno sul ciclo italiano, in particolare sul 2008. Se, l’anno prossimo, il pil dell’Italia avrà un tasso di crescita inferiore all’1,5%, sarà difficile “fare la quadra”, anche nell’ipotesi che Ministri e Ministeri frenino le loro richieste.

IL GOVERNO DEGLI SPRECHI RIUNCIA AI FONDI EUROPEI

In base alle più recenti dichiarazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze Tomaso Padoa-Schioppa (TPS) , la prossima finanziaria sarà quella del “doppio no”:”no” a nuovo carico fiscale-contributivo e “no” a nuovo aumento dell’indebitamento e del debito pubblico. Ciò rischia di scontentare sia coloro che ritengono (correttamente) che l’Italia non possa riprendere a crescere con un peso fiscale tra i più alti al mondo sia la sinistra “radical-conservatrice” i cui Ministri hanno presentato richieste per circa 20 miliardi di euro di spese aggiuntive per il 2008. In questo contesto l’enfasi della prossima finanziaria sarebbe sulla qualità della spesa; non è una mera coincidenza che il “libro verde” in materia sia stato presentato alla vigilia della messa a punto della legge di bilancio. Anche ove TPS non riuscisse ad far approvare dal Consiglio dei Ministri la strategia del “doppio no”, l’esigenza di migliorare la qualità della spesa pubblica è urgente perché il “libro verde” conferma quanto già denunciato da numerosi studi (interni ed internazionali) e da una lunga sequenza di saggi ed inchieste pure giornalistiche.
C’è, però, un assordante silenzio sulla strategia per eliminare disfunzioni e sprechi evidenziati nelle sue pagine perché comporterebbe una brusca marcia indietro rispetto a provvedimenti varati proprio dai Governi Prodi.
Sotto il profilo istituzionale-organizzativo, si dovrebbe cancellare lo “spacchettamento” dei Ministeri (un costo aggiuntivo, calcolato da Il Tempo e mai smentito, nonostante portato all’attenzione di TPS, tra lo 0,3% e lo 0,6% del pil) varato all’inizio di questa legislatura: se 15 Ministeri sono sufficienti in Francia e negli Usa, è difficile vedere perché l’Italia debba averne il doppio con un vero e proprio groviglio di competenze tale da rallentare qualsiasi decisione. Ciò vorrebbe pure dire ridare centralità alla funzione di verifica e valutazione della spesa (nello “spacchettamento” trasferita dal dicastero dell’economia e finanza a quello dello sviluppo economico).
Sotto il profilo tecnico-economico, la marcia indietro deve essere ancora maggiore sia a livello di analisi intersettoriali della qualità della spesa sia di valutazioni costi-benefici e costi-efficacia delle singole operazioni. Le prime vengono effettuate in tutto il mondo tramite modelli ecnometrici applicati a matrici di contabilità sociale, Sam, Social accounting matrix Il lavoro di aggiornamento della Sam dell’Italia è stato interrotto nel 1996. Nel 2002-2004, per conto del Ministro delle Comunicazioni, la Fondazione Ugo Bordoni (Fub), la Sam è stata ampliata 115 (includendo quelli ad alta tecnologia). E’ un “bene pubblico” di cui però né l’Istat né gli altri Ministeri pare conoscano l’esistenza. Non è quindi più fattibile condurre valutazioni della spesa che siano di standard internazionale.
Per quanto riguarda le analisi costi benefici e costi efficacia delle singole operazione, i programmi per formare dirigenti e funzionari pubblici (specialmente nel Mezzogiorno), iniziati nella legislatura precedente, rischiano di essere chiusi a fine anno (nonostante ci siano ampi finanziamenti europei, che verrebbero destinati ad altri Paesi).
Il documento di TPS non sarebbe un “libro dei sogni”, ma un modo per distogliere l’attenzione dalla riduzione dell’onere fiscale e per andare, invece, a caccia di farfalle senza neanche il retino della Vispa Teresa.

lunedì 17 settembre 2007

IL TROVATORE A SPOLETO

Il Trovatore è opera troppo conosciuta perché sia necessaria, od anche solamente opportuna, una nota di presentazione del vostro chroniqueur. Quindi, questa recensione tratta esclusivamente dello spettacolo visto ed ascoltato il 15 settembre al Teatro Nuovo di Spoleto; teatro splendidamente restaurato dopo circa quattro anni di lavori. E’ importante ricordare, tuttavia, che il Teatro Lirico Sperimentale, fondato con lungimiranza dall’avvocato melomane Adriano Belli e giunto al 61simo anno di attività, ha essenzialmente finalità formative; al termine di una severa selezione, giovani cantanti seguono un corso di specializzazione ed hanno l’opportunità di cimentarsi in spettacoli veri nei teatri spoletini e dell’Umbria. Da alcuni anni, poi, il Lirico Sperimentale ha rapporti stretti con istituzioni giapponesi e quasi ogni stagione uno dei suoi allestimenti visita diverse città del Sol Levante. Questa edizione de Il Trovatore (che non si rappresentava a Spoleto da oltre un quarto secolo) andrà probabilmente in tournée in una dozzina di capitali provinciali del Giappone (oltre che a Tokio ed Osaka) prima di effettuare un tour nei principali teatri dell’Umbria. La produzione, quindi, deve essere esaminata sotto un duplice punto di vista: da un lato, è il lavoro di un orchestra giovane e di cantanti che, in gran misura, per la prima volta, salgono su un palcoscenico; da un altro, è un allestimento che probabilmente visiterà alcuni dei maggiori teatri giapponesi. L’edizione spoletina utilizza scene "d’epoca", firmate da Tito Varisco; risalgono all’inizio degli Anni '60 e sono state create per il Regio di Parma. Sono, senza dubbio, scene molto belle – specialmente le tele dipinte con atmosfere notturne . Tuttavia, sono caratterizzate da un grande praticabile che cambia funzione in ciascuno degli otto quadri che compongono i quattro atti dell’opera. Inoltre, sono state concepite per un palcoscenico di oltre mezzo secolo fa; anche ove il Teatro Nuovo di Spoleto disponesse di un impianto altamente tecnologico (sul tipo di quelli dei palcoscenici de La Scala o del Carlo Felice), le scene di Varisco mal si adatterebbero a cambi-scena rapidi. Dunque, la serata comporta tre intervalli e circa cinque minuti di cambio-scena tra un quadro e l’altro. Da un lato, ciò spezza la tensione drammatica. Da un altro, pone forti vincoli alla regia. Di recente, anche in Italia, è invalsa la sana prassi di mettere in scena Il Trovatore in due sole parti (ossia con un unico intervallo) e con una scena che possa, con poche modifiche, rappresentare più ambienti.In aggiunta, Lucio Gabriele Dolcini pare avere una sensibilità più adatta a Mozart (ricordiamo un suo pregevole Le Nozze di Figaro) o al Settecento che al melodramma verdiano, specialmente ad un dramma non solo di amori contrastati su uno sfondo di guerre civili ma di sangue, infanticidi, fratricidi, roghi e capestri come Il Trovatore. Non solo lo spettacolo è frammentato ma a volte è difficile seguirne i filo. Ad esempio, difficile comprendere perché, nel primo quadro del primo atto, Ferrando ed i suoi (che dovrebbero fare la guardia al castello) si agitino tanto da una parte all’altra del palcoscenico o perché , nel secondo, Ines tagli la strada a Leonora nel bel mezzo di Tacea la notte. Nel primo quadro del secondo atto, le note di regia di Verdi sono esplicite: Manrico dovrebbe giacere (od essere seduto) accanto a Azucena durante Stride la vampa e Soli or siamo, non stare in piedi a diversi metri da lei, per di più separato da tre scalini; nel secondo, arduo comprendere che il Conte di Luna ed i suoi seguaci (peraltro abbigliati come notabili in Simon Boccanegra ) abbiano l’intenzione di rapire Leonora. Si potrebbe continuare. Un suggerimento: rivedere con cura la regia prima di riprendere l’allestimento.Molto meglio gli aspetti musicali. L’orchestra è formata da borsisti dell’Unione Europea che solo da un paio di settimane hanno completato il corso di formazione; guidati da Carlo Palleschi, hanno affrontato valentemente la scrittura verdiana – un encomio particolari ai fiati ed agli ottoni, spesso carenti in orchestre italiane.Nel venire alla voci occorre distinguere tra giovani e coloro già in carriera. Maria Agresta, Costantino Finucci e Aleksandar Stefanoski – tutti e tre sui 25 anni o poco più - appartengono alla prima categoria. Ernesto Grisales e Federica Proietti alla seconda. Interessante notare come Maria Agresta abbia iniziato la propria carriera al Lirico Sperimentale, l’autunno scorso, come mezzo soprano in Barbiere di Siviglia e Didone Abbandonata ed indossi molto bene le vesti di Leonora, che richiede invece la vocalità di un soprano; imposta Tacea la notte in direzione belcantistica (con echi belliniani oltre che donizettiani) mentre in D’amor sull’ali rosee raggiunge colori da soprano drammatico. Ottimo tanto il fraseggio quanto il modo di ascendere e discendere da tonalità alte. Impeccabile la recitazione. Costantino Finucci promette di diventare un baritono verdiano di qualità, anche se Il balen del suo sorriso sarebbe dovuto essere un po’ più morbido (difficile dire quanto la durezza sia imputabile alla regia). L’importanza del ruolo di Ferrando viene spesso sottovalutata: Aleksandar Stefanoski ne fa un protagonista a tutto tondo nella lunga scena ed aria con coro che comprende tutto il primo quadro del primo atto.Ernesto Grisales è stato chiamato all’ultima ora per sostituire un collega più giovane ammalato. E’ un tenore spagnolo di mezza età a cui non fa difetto il volume e che sa come accontentare il pubblico. Di livello molto più alto, Federica Proietti; lanciata a Spoleto alcuni anni fa, canta ora abitualmente alla Staatsoper di Francoforte e nel sistema di teatri lirici di Vienna. Sin da Stride la vampa avvertiamo che abbiamo a che fare con un’Azucena di classe che si distacca nettamente da Grisales nel duetto Ai nostri monti ritorneremo.Buono l'apporto dei comprimari. Successo tra il pubblico presente, anche se alla terza replica alcune file e molti palchi erano vuoti.
Giuseppe Pennisi
La locandina
Data dello spettacolo: 15/09/2007
Il Conte di Luna
Costantino Finucci
Leonora
Maria Agresta
Manrico
Ernesto Grisales
Ferrando
Aleksandar Stefanoski
Azucena
Federica Proietti
Ines
Lucia Knotekova
Ruiz
Gabriele Mangione
--
Direzione Musicale
Carlo Palleschi
Regia e Costumi
Lucio Gabriele Dolcini
Scene
Tito Varisco
Maestro del Coro
Andrea Amarante
--
Orchestra e Coro del Teatro
Lirico Sperimentale di Spoleto “A.Belli”
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FINANZIARIA “SENZA FAMIGLIA”

In questi giorni, si sta mettendo a punto la legge finanziaria, un insieme di provvedimenti molto complicato (un decreto legge fiscale da vararsi probabilmente il 22 settembre, il disegno di legge di bilancio che il Consiglio dei Ministri approverebbe il 28 settembre unitamente ad un ddl collegato e forse ad un altro decreto legge per “misure urgenti”( o ritenute tali).
Cosa conterrà questo complesso di norme per la famiglia? Il Tempo ha già posto questa domanda in agosto (quando tra Capalbio e Cortina erano in corso i prolegomeni della preparazione della finanziaria) non tanto in ricordo del Family Day (a cui hanno partecipato anche Ministri in carica dell’attuale Governo) ma nella convinzione che senza una politica centrata sulla famiglia (e mirata ad una modificata della struttura demografica dell’Italia) il Paese resterà bloccato.
Tale convinzione diventa certezza alla lettura di un lavoro curato da una squadra di docenti della School of Public Health della Università di Harvard : lo studio Does Age Structure Forecast Economic Growth?" (La struttura per età consente di prevedere la crescita economica) in uscita come NBER Working Paper No. W13221- Se ne può chiedere il testo al Prof. David Bloom dbloom@hsph.harvard.edu .Sulle rive del fiume Charles si è distinti e distanti dalle nostro beghe; lo studio esamina un campione di 90 Paesi in un arco di tempo che va dal 1960 al 2000 per effettuare proiezioni sino al 2020 Nella prima parte, vengono derivati parametri demografici risultanti da politiche dirette ad incoraggiare o meno la famiglia al fine di potere calibrare meglio la modellistica econometrie per essere in grado di programmare una struttura demografica in cui la proporzione della popolazione in età da lavoro fornisca “dividendi demografici” significativi in termini di produttività e di produzione. E’ banale ricordare che i giovani, specialmente se ben addestrati e motivati, sono, generalmente, più produttivi e più innovatori degli anziani.
Nella seconda parte, i parametri vengono applicati all’esperienza effettiva nel periodo 1980-2000 per studiare in che misura migliorano la qualità predittiva dei modelli di crescita normalmente utilizzati. Tenendo conto delle politiche per la famiglia del passato (tali politiche hanno un lungo periodo di gestazione per dare frutti) non solamente si riduce lo scarto tra previsioni e andamenti effettivi. I Paesi che plasmano le politiche economiche sulla centralità della famiglia - nell’Ue il caso più significativo è quello della Francia – grazie al “dividendo demografico” sono anche quelli a crescita di lungo periodo più sostenuta. La terza parte presenta previsioni di crescita economica (e demografica) sino al 2020. Per l’Italia, ove non vengano introdotte politiche per la famiglia tali da modificare la struttura per età della popolazione (aumentando la proporzione di quella in età lavoro), la crescita massima prevista dal modello dal 2000 al 2020 è un pallido 1,8% l’anno. A tale ritmo si allontana – come ci ha ammonito il 13 settembre pure la Bce- l’obiettivo di risanamento dei conti pubblici.
Il primo Governo Prodi ridusse drasticamente, nel 1996-97, i modesti apporti di politica della famiglia allora in vigore (gli assegni familiari) per finanziare le pensioni di anzianità. Nella scorsa finanziaria il novo Governo Prodi ha ripristinato quella che nel resto del mondo (dove è stata in gran parte soppressa) viene chiamata “la tassa sulla morte” dei genitori. Due misure quindi “anti-famiglia”. Tra quanto filtra dalle segrete stanze del Palazzo, l’unica piccola misura “pro-famiglia” in cantiere sarebbe l’alleggerimento dell’Ici sulla prima casa. Una condanna a tenere raso terra la crescita del Paese.
Prodi non sia miope; guardi al di là delle prossime elezioni; inizi una politica della famiglia almeno ripristinando quando ha tolto ed abrogando “la tassa sulla morte”. Ne beneficerebbero anche i suoi figli e nipoti.

PADOA SCHIOPPA STUDIA LA RIFORMA DEL FONDO MONETARIO

A Tomaso Padoa-Schioppa (TPS) – dicono gli amici- sarebbe piaciuto (nonostante le smentite ufficiali) avere il seggio su cui siederà per i prossimi anni Dominique Strauss-Kahn: quello di managing director (in sostanza amministratore delegato) del Fondo monetario internazionale (Fmi). Non si sarebbe allontano da una Roma così densa di intrighi ma avrebbe guidato il Fondo in una riforma che ormai non può essere più procrastinata. Se ne è convinto prendendo tra le mani i due volumi curati da Edwin Truman per l’Institute of International Economics “A Strategy for IMF Reform” (“Una strategia per la riforma del Fmi) e “Riforming the IMF for the 21st century” (“Riformare lo Fmi per il 21simo secolo”) . Il secondo – circa 600 pagine a stampa fitta – sono atti di una conferenza internazionale in cui TPS fu uno dei partecipanti (e vi presentò un dotto paper – ah, quando tra Parigi e Francoforte si poteva scrivere testi di rilievo!). Il secondo, più smilzo (appena 126), sono le conclusioni che Edwin Truman trae dai lavori presentati alla conferenza . Il punto centrale delle proposte di Truman è la riforma del sistema di governance del Fmi; un riassetto delle quote, e dei seggi, a favore dei Paesi asiatici ed il consolidamento di un seggio per l’Ue. Truman fornisce anche indicazioni procedurali dettagliate su come formulare ed attuare queste proposte.
Per utili che possano essere, TPS trova che non tengono conto delle difficoltà di giungere ad un consenso politico; nella sua veste attuale, inoltre, un seggio Ue (naturalmente a rotazione), vorrebbe dire la perdita del seggio occupato da oltre tre decenni dall’Italia- a casa nostra, ciò verrebbe letto come una sconfitta internazionale del Governo di cui fa parte. Inoltre, una volta messo in moto il meccanismo di un riassetto periodico delle quote e dei seggi, quale ne sarà il limite? Cosa avverrà nell’eventualità che un domani l’Africa a sud del Sahara decolli come l’Estremo Oriente? Un nuovo giro di seggi, con l’Europa messa su uno strapuntino?
Più serio, ma TPS non può ammetterlo (almeno in pubblico), il lavoro di Richard Webb e Devesh Kapur “Beyond the IMF" (“Oltre il Fmi) pubblicato, a fine agosto, dal Center for Global Development Working Paper No. 99. Non deve essere confuse con i numerosi pamphlet polemici contro il Fondo (una sterminata letteratura in questi ultimi anni). E’ un’analisi documentata da cui si deduce che gran parte delle funzioni attribuite al Fmi sono ormai svolte da altri . Inutile cercare di far rivivere il passato oppure tentare di riportare al Fondo “clienti” che lo hanno abbandonato. Più costruttivo cercare di migliorare quelle attività in cui il Fmi può avere un ruolo primario .

Alitalia, Prodi guardava Oltralpe ma Ryanair ha rovinato il piano

La crisi subprime, la preparazione delle legge finanziaria e altri avvenimenti hanno distolto, da un paio di settimane, l’attenzione dei giornalisti economici (principalmente di quelli dei quotidiani generalisti alle prese con poco spazio e tanta carne al fuoco) dalle vicende di quella che alcuni ancora oggi chiamano la “nostra compagnia di bandiera”. Il complesso intreccio, invece, va avanti. Se non fossero intervenuti due elementi inattesi - uno legato proprio ai francesi di Air France e l'altro alla compagnia low-cost Rynair -, il copione seguirebbe la traccia scritta circa un anno fa dall’inquilino di Palazzo Chigi e dai suoi più stretti collaboratori: giungere ad una cessione analoga a quella tentata oltre venti anni fa per cedere la Sme al Gruppo De Benedetti (sventata alla tredicesima ora) tramite una trattativa privata. Il disegno era ancora più articolato: nella cessione, mantenere un ruolo per lo Stato (e qualche poltrona per amici ed amici-degli-amici da sistemare). Un’operazione, quindi, in puro stile “prima Repubblica”, ove non “ante-prima Repubblica”.
Ricapitoliamo i passi essenziali. A fronte della crisi finanziaria e industriale della compagnia, promettere di lanciare un’asta ma in pratica varare un beauty contest con condizioni (italianità, livelli occupazionali, mantenimento di due hub) che nessuno avrebbe potuto accettare. In effetti, undici concorrenti hanno manifestato interesse a fine gennaio, ma come i “piccoli indiani” dal capolavoro giallo di Agatha Christie si sono sfilati tutti. Era quello che si voleva poiché l’intenzione era di fare un aumento di capitale con Air France-Kml; d’altronde, solamente Air France (che partecipa da anni al capitale Alitalia e ne ha avuto a lungo un seggio nel Cda) è a conoscenza del dato che non è mai stato fornito agli altri concorrenti: la redditività per le singole rotte. Fallito il beauty contest, si è giunti alla fase clou del dramma: o riassetto e vendita o libri in tribunale. C’è cassa, infatti, soltanto per pochi mesi (ma le cifre diventano sempre più confuse giorno dopo giorno). Intanto, Maurizio Prato, dirigente Iri di lungo corso con reputazione di ottimo liquidatore ma talvolta anche di buon risanatore, è stato posto alla guida della compagnia. Nella confusione generale di mercati finanziari turbolenti e di un Governo in continua fibrillazione, riprendono (segretissimamente) le trattative con Air France-Klm con la prospettiva di andare in porto prima della fina dell’anno.
Air France (vale la pena ricordalo) è uscita da una crisi che ha vari punti in comune con quella dell’Alitalia. Un saggio di Andrea Goldstein dell’Ocse, i cui aspetti salienti sono stati pubblicati in www.lavoce.info, analizza il percorso seguito. Per tornare a vedere il sereno, la compagnia francese procedette a un’analisi della redditività dei singoli scali e vennero chiusi quelli che a breve e medio periodo non garantivano prospettive interessanti. Alcune delle rotte soppresse, come quelle tra Orly, il secondo aeroporto parigino, e città di provincia come Perpignan, Tolone e Nantes, erano chiaramente importanti per politici e notabili locali, ma ogni resistenza venne superata perché il governo di Parigi non era disposto a perdere la faccia di fronte alla Commissione europea. Altre destinazioni, come Nagoya, Pisa e Ljubljana per il traffico passeggeri o Johannesburg per quello merci, furono allora soppresse, ma quando poi le condizioni di mercato sono cambiate, Air France ha deciso di tornare a servirle.
La seconda decisione strategica fu quella di intensificare la rete dei collegamenti, aumentando sia le frequenze sulle linee principali sia il numero di destinazioni servite a cadenza giornaliera, di sopprimere gli scali intermedi e di lanciare l’hub di Charles de Gaulle. La qualità dell’hub, più moderno e compatto rispetto a concorrenti come Londra Heathrow, lo sviluppo di un’alleanza con Delta Airlines e l’alto numero delle connessioni e pertanto delle alternative, hanno fatto sì che per Air France la carta tariffaria non fosse l’unica da utilizzare per competere con i rivali.
Il terzo elemento strategico fu la messa in atto di un sistema di tariffe capace di modulare le proposte tariffarie a seconda delle condizioni di mercato. Infine, più di cinquecento misure puntuali di riduzione dei costi e di miglioramento della produttività vennero introdotte nei primi quattro anni della ristrutturazione, consentendo più di 3 miliardi di franchi di economie. Nell’ottobre 1998, un accordo globale pluriennale venne concluso con il Syndicat national des pilotes de ligne, in base al quale il 12 per cento del capitale della società venne ceduto a chi, tra il personale navigante tecnico, fosse disposto a ridurre il proprio salario.
Il “programma di sopravvivenza” presentato da Maurizio Prato al CdA (e da questi approvato) ricalca a menadito la strada di riassetto di Air France. Prodi & Co. dovrebbero essere lieti: è stato un melodramma fosco come il verdiano La Forza del Destino, ma, grazie al Fato (e alla furbizia dei consiglieri di Palazzo Chigi) sta andando a quello che loro considerano buon fine. Tuttavia, si sono intromessi due elementi (oltre alla durezza dei piloti Alitalia, notevolmente maggiore di quelli di Air France) che rischiamo (come in un’opera buffa, ad esempio la rossiniana L’Inutile Precauzione ovvero il Barbiere di Siviglia) di mandare tutto all’aria.
In primo luogo, nonostante i generosi interventi delle banche centrali si respira aria di avversione al rischio sui mercati: per questo Air France ha alzato la posta (non perché Prodi con la sua aria di curé de campagne – lo qualificano così a Parigi, patria di Bernanos – sia l’antitesi di Sarkozy). Posta più alta equivale a richiedere un unico “hub” (Fiumicino, Malpensa è troppo vicina a Charles De Gaulle per essere gradita ad Alitalia) e la chiusura di scali (perché tenere in piedi il cosiddetto Aeroporto degli Stretti a Reggio Calabria con tre voli al giorno?). In secondo luogo, si è presentato a cena un ospite non invitato (e non gradito): Ryanair pronta ad investire alla grande in Malpensa rilevando, però, gli slot pregiati di Alitalia e scatenando il putiferio (il Nord vuole potenziare Malpensa, ma Air France non si prende Alitalia se perde gli slot e si tiene aeroporti in perdita secca come Reggio Calabria).
Il dénouement promette di essere da opéra comique. A pagarne il conto, però, continueranno ad essere gli italiani. I quali dovrebbero chiedere di volare gratis con Alitalia: la stanno strapagando con le loro tasse.

venerdì 14 settembre 2007

La Bce sconfessa Tps: nessun pareggio entro il 2011

Il coretto a cappella di nani, ballerine e ignoranti che appena una settimana fa ha intonato laudi alla Banca centrale europea (Bce) per non avere ritoccato i tassi (al rialzo) ed avere immesso liquidità sul mercato, oggi, alla lettura dell’ultimo Bollettino Economico mensile prodotto dall’Eurotower, critica l’istituto per gli occhiali arcigni indossati nella più recente tornata di previsioni econometriche. I rilievi negativi vanno principalmente al direttore generale del servizio studi della Bce, l’italiana Lucrezia Reichlin che era stata ritenuta tanto simpatizzante della sinistra-centro (a ragione delle sue manifeste origini familiari) da mettere occhiali benevoli ogni volta che l’econometria interessa il Governo Prodi. Lucrezia è distinta e distante dalle nostre beghe; è stata per lunghi anni a Harvard, da lì ha intrapreso una carriera accademica in Francia (non in Italia) da dove è andata alla guida di uno dei maggiori centri di analisi e ricerca economica tedesca prima di approdare alla Bce. Per lei, l’Italia è uno dei 13 Stati che fanno parte dell’area e dell’euro. Non può essere calda ed affettuosa nei confronti di nessuno, ma fredda, asettica, numerica. “Too bad” o “Tant pis” se a qualcuno la Bce piace calda.
I malumori nel Palazzo riguardano l’affermazione del Bollettino che l’Italia non raggiungerà quello che Prodi ha posto come obiettivo “principale” di un Governo che si ostina a chiamare “suo”: il pareggio di bilancio entro il 2011, ossia prima della prossima campagna elettorale. E’ una notizia soltanto perché scritta su carta nel “Bollettino” Bce. Lo si sapeva almeno da una diecina di giorni, ossia dalle giornate sul dibattito su cosa avrebbe fatto la Banca in materia di tassi, ma pochi se ne sono accorti, poiché distratti proprio dalla polemica sulla mancanza o meno di liquidità. Qualsiasi econometrico, poi, lo avrebbe potuto computare senza grande fatica poiché la Banca ha pubblicato il proprio modello e le varie sezioni (o blocchi) nazionali diversi mesi fa. Allora, però, il coretto era tutto proteso ad intonare preci perché la Bce frenasse il percorso al rialzo dei tassi. Alla Bce calda della settimana scorsa, corrisponde una Bce algida di oggi, o meglio considerata “di ghiaccio” nonostante proprio ieri, con una nuova asta, abbia immesso sul mercato 75 miliardi di euro (operazione che piace al coretto).
Cerchiamo di guardare il tema con equilibrio. Le stime econometriche della Bce sono tra il meglio che offre il mercato, soprattutto in quanto scrutano il medio termine (non soltanto 24 mesi come è la prassi di molti altri istituti). Per quanto riguarda l’Italia e le sue finanze pubbliche vanno nella stessa direzione di quelle dell’Ocse e delle anticipazioni dell’Economic Outlook di questi giorni. E’ un fatto che mentre da noi si scrivono “libri verdi” sull’inefficienza della spesa pubblica, altri prendono la scure: in Germania, ad esempio, la spesa pubblica è stata ridotta dal 48,5% del pil al 44,7% nell’arco di quattro anni e il Cancelliere Angela Merkel ha fissato l’obiettivo di portarla al 42% entro il 2009. In Francia, il Capo dello Stato Nicolas Sarkozy ha annunciato una cura ancora più drastica. A casa nostra, invece, l’attuazione del Protocolo sul Welfare del 23 luglio comporta un ulteriore aumento della spesa (e un incremento del deficit e del debito, dato che non si può percorrere la strada di nuovi aumenti tributari senza portare alla stagnazione economica e alla vera e propria rivolta fiscale oppure a qualche jackerie contro VVV- Vice Vicenzo Visco). Quindi, inutile sorprendersi o – ancor peggio - indignarsi.
Il coretto avrebbe invece dovuto arricciare il naso di fronte ai 265 miliardi di euro immessi dalla Bce sul mercato nelle ultime settimane – essenzialmente misure dirigistiche per correre in aiuto di banche che, per puro spirito speculativo o insipienza, si sono messe nei guai e si sarebbero comunque potute approvvigionare sul mercato (a tassi di interesse leggermente più elevati). E’ un dirigismo di marca francese; la Federal Riserve ha effettuato interventi molto minori nonostante che il problema fosse negli Usa. Tanto la Bce quanto la Fed hanno avuto il plauso, da noi, anche di chi si dice liberale ma a cui le banche centrali piacciono calde quando con il suo calore aiuta che razzola male (invitandolo, implicitamente, a continuare sulla cattiva strada – fenomeno che gli economisti chiamano “azzardo morale”). Non piacciono, invece, quando mostrano freddi numeri. Che è parte importante del loro mestiere.
13 Settembre 2007 Commenta Email Condividi

martedì 11 settembre 2007

GIALLO ITALIA: NON COMPRIAMO MA I PREZZI RESTANO GLI STESSI

I dati sull’andamento dell’economia sono scoraggianti. In primo luogo, nel secondo trimestre il pil ha esposto una stagnazione (una crescita appena dello 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2006). L’impercettibile aumento si deve quasi interamente all’export (ed in parte ai servizi), mentre industria, costruzioni e agricoltura sono in contrazione. I dati Istat confermano Ocse e Fmi: siamo il fanalino di coda dell’Europa (e del mondo). Secondo l’Economic Cycle Research Istitute, la recessione sta già bussando alla porta dell’Italia.
A Palazzo Chigi si dice che, le stime per il 2008, pur annunciando un rallentamento della crescita rispetto al deludente 1,8% ora previsto per il 2007, mostrano una decelerazione dell’inflazione dal 2% questo anno all’1,7% il prossimo. Purtroppo della eventuale frenata ai prezzi non si sono accorte le famiglie alle prese con una batteria di rincari (dai servizi pubblici ai libri s scolastici). Viene anche messa in discussione dagli statistici. Nel fascicolo di aprile dell’ Oxford Bulletin of Economics and Statistics , cinque esperti francesi (di cui quattro del servizio studi della Banque de France), mettono in dubbio la capacità di monitorare 13 milioni di movimenti dei prezzi nello stesso modo in ciascun Paese dell’euro al fine riflettere adeguatamente l’andamento del costo della vita. Un’analisi analoga è stata pubblica come Banco de España Research Paper n. 0703 circa un mese fa; riguarda i prezzi all’ingrosso ma le conclusioni sono simili. Non si vuole additare nessun istituto di statistica come taroccatore: metodo e procedure non riescono a stare al passo con la tecnologia. E’ sempre dall’Oxford Bullettin of Economics and Statistics che si avverte come oggi le analisi sugli umori dei consumatori (in Italia a picco) hanno un maggior valore predittivo di strumenti come gli indici dei prezzi.
Economisti collaterali al Governo avvertono di evitare di stare dietro alle Cassandre. La principessa troiana, però, aveva ragione: finì legata al carro del vincitore proprio perché non venne ascoltata. Da mesi l’Italia che lavora e che produce chiede una riduzione della pressione fiscale, contributiva e regolatoria – tutte aggravate da quando l’attuale compagine è alla guida del Paese. Lo ha ribadito lo scorso fine settimana il Direttore Generale dello Fmi Rodrigo Rato. Quasi in parallelo con i dati Istat sulla stagnazione e dei timori di una nuova ondata di inflazione è stato diramato l’indice delle libertà economica del Fraser Institute, un pensatoio canadese lontano dalla nostre beghe: siamo al 52simo posto - un dato su cui occorre riflettere in una fase in cui non si fanno privatizzazioni, si tentano pateracchi per l’Alitalia e la Cassa Depositi e Presiti minaccia di diventare una nuova Iri. Così si invita a cena lo spettro della stagflazione: aumenti dei prezzi ma non dell’economia.

L’11 SETTEMBRE NON FA PIU’ PAURA, ALMENO IN BORSA

Influiranno sull’andamento ( abbastanza tormentato) dei mercati le nuove minacce di El Quayda e la scoperta di centrali di terrorismo islamico che stavano predisponendo nuovi maxi-attentanti nel cuore dell’Europa? Alcune risposte si possono dare sulla base di analisi recenti, anche se non tutte riferite ai mercati azionari Ue. La più interessante (ancora a distribuzione limitata- è un working paper che verrà pubblicato in settembre) è un lavoro della facoltà di finanza ed economia aziendale della Ohio State University in cui si raffrontano i rischi ed i rendimenti di due strategie alternative nell’arco di tempo 1994-2006. La prima riguarda un portafoglio costruito sulla base delle 500 azioni che compongono l’indice Standard & Poor (S & P 500) sulla base di indicatori di rischio di terrorismo e misura le operazioni delle aziende pertinenti in Paesi con alta incidenza di terrorismo. La seconda strategia estrae (sempre dallo S & P 500) in portafoglio “privo di rischi” di terrorismo- quindi di aziende che non hanno operazioni in Paesi da dove, secondo le classifiche del Dipartimento di Stato, si fomenta il terrore. Come è noto, ai rischi dovrebbero corrispondere, in economia e finanza, opportunità di rendimenti più elevati. L’analisi rivela che il portafoglio maggiormente esposto al terrorismo avrebbe reso (rispetto all’indice S & P 500) 16 punti di base in più al mese con un margine di errore del 2,8% al mese. Un portafoglio altamente selezionato per evitare azioni di imprese con operazioni in Paesi nella lista del Dipartimento di Stato sarebbe addirittura perdente , pur se di pochissimo: - 1,6 punti di base al mese con un margine di errore di 25 punti di base al mese. Il messaggio che se ne trae è che, nonostante forti contraccolpi di breve periodo, nel medio e lungo termine un portafoglio che rischia sul terrorismo (sperando di guadagnarci) ed uno che, invece, lo schiva danno risultati molto simili e comunque non molti distanti di quelli di uno degli indici azionari con la base più vasta e più diversificata.
Ci sono altri aspetti che inducono a pensare che non saranno le cellule islamiche a frenare la borsa. Un’analisi della London School of Economics e della Università doi Exeter, ancora inedita (ma se ne possono avere copie chiedendola per mail a uno degli autori, Thomas Pluemper- tpluem@essex.ac.uk ) chiarisce che anche su territorio europeo, gli americani e le imprese Usa sono i principali bersagli del terrorismo internazionale: in supporto vengono esaminati fatti e tendenze del terrorismo internazionale dal 1978 al 2005. Sulla stessa linea il World Bank Policy Research Working Paper No. 4094 pubblicato all’inizio di luglio ed un voluminoso lavoro dell’Università di Innsbruck (per averlo si contatti l’autore coordinatore Prof. Arno Tausch arno.tausch@bmsk.gv.at ) che illustra come e perché l’Europa sia il continente che accoglie meglio le comunità mussulmane e più facilmente ne agevola l’integrazione.
Una chiosa conclusiva. Dall’inizio degli Anni 60 esiste un vero e proprio filone di analisi economica che applica al terrorismo la strumentazione della teoria dei giochi; in tal modo, ad esempio, è stato possibile simulare le strategie e le tattiche di dirottamento aereo e ridurne, nell’arco di meno di un lustro, il numero dei dirottamenti da 30 a circa 2 l’anno. Gli “economisti del terrorismo” di Chicago hanno pure sviscerato l’”effetto di sostituzione” nelle strategie e nelle tattiche: posto un argine ai dirottamenti aerei, i terroristi si sono rivolti ad altri comparti, che, però, comportano costi maggiori e per essere attuati, necessitano di risorse molto più ampie e di risultati attesi molto più consistenti. In tempi più recenti, l’Università della California del Sud è diventato il cenacolo più importante di studi di “economia del terrorismo”; la figura di spicco è Todd Sandler. I lavori degli ultimi anni coniugano la teoria dei giochi con l’economia dell’informazione e della comunicazione e con paradigmi tratti dall’analisi dei mercati finanziari. Da un lato, documentano come il “terrorista razionale” cerchi risultati con vasto contenuto mediatico e comunicativo. Da un altro, sottolineano come un “anti-terrorismo a vasto raggio od a pioggia” avrebbe costi elevatissimi e avrebbe comunque molti aspetti deboli; sono preferibili strategie di prevenzione incentrate sulla decodificazione di segnali indiretti. Più di recente, in Europa, l’Università di Zurigo è diventata il maggior centro di analisi di economia e finanza del terrorismo: studi imperniati sulla simulazione di mercati di derivati finanziari si sono mostrati particolarmente efficienti nell’annusare quelli che in gergo vengono chiamati i “sentiment” (gli “umori”) e i “roumors” (“rumori di fondo”) delle piazze nei confronti di avvenimenti (fusioni aziendali, innovazioni di prodotto e di processo) che gli interessati vogliono tenere segreti.

lunedì 10 settembre 2007

L'addio a Pavarotti e la stecca di Prodi

Nella lontana Bologna del 1966-67, altri colleghi ed io raccomandammo a Romano Prodi di cantare il “Tantum Ergo” a voce bassa, anzi bassissima (non erano ancora in vigore tutte le innovazioni del Concilio Vaticano Secondo concluso nel dicembre 1965). Romano era ed è stonato: peraltro, lo eravamo in molti. D’altronde, non si possono avere tutte le qualità: conoscere i dettagli del mercato delle piastrelle, parlare inglese, avere dimestichezza con gli elementi essenziali della parapsicologia, essere già “assistente confermato” all’Università (gran parte di noi, più giovani di qualche anno, eravamo o laureandi o assistenti volontari oppure “graduate students” al Centro di Johns Hopkins nella città felsinea). Occorre dire che Romano non se lo fece ripetere due volte: non solo non cantava “in voce” (come si dice in termine tecnico) ma si limitava a bisbigliare – mostrando i movimenti della bocca ma con limitatissima emissione di fiato (un po’ come si fa quando si recita in un film che sarà doppiato). Così, a San Petronio Vecchio, evitava di steccare. In tutta la sua lunga carriera , peraltro, non si è mai interessato di musica: nell’arco di 40 anni non ricordo di averlo visto una sola volta nella Sala dei Bibiena (il magnifico teatro dell’opera di Bologna) frequentatissimo da Sergio Coferrati, Pierferdinando Casini ed in altri tempi Bruno Visentini, Calogero, Mannino ed Enzo Scotti.
Un stecca clamorosa, però, la ha presa sabato 8 settembre a Modena- qualche loggionista se ne è accorto e lo ha pure fischiato. La stecca è stata quella di essere lui a chiedere di fare l’orazione funebre per Luciano Pavarotti. Di fronte al passaggio dall’avventura umana alla vita eterna, un momento di umiltà è richiesto a tutti (anche e soprattutto se si è temporaneamente inquilini di Palazzo Chigi). La storia della società e della musica diranno se “Big Luciano” è stato un fenomeno mediatico od un grandissimo cantante oppure un “tenore di grazia” che, lasciato un repertorio donizettiano, belliniano e rossiniano (nonché in quel “Werther” di Massenet che non credo abbia mai cantato integralmente e su scena), si è avventurato in un sentiero verdiano e pucciniano, poco adatto alla sua vocalità. Pavarotti ha indubbiamente reso molto nota l’Italia all’estero ed ha goduto di fama mondiale. Per questi due motivi, non sarebbe stata fuori luogo la presenza del Presidente del Consiglio in carica al suo funerale. Lo è stata, invece, quella di pronunciare l’orazione funebre (al di là dei contenuti – peraltro piuttosto vaghi- dell’orazione medesima) e di attribuire onoranze di Stato (quali il volo delle frecce tricolori) che in passato si sono dati unicamente per chi ha dato la propria vita alla Patria, morendo per essa.
Prodi avrebbe fatto meglio a pregare in silenzio per il rendiconto che Pavarotti (come tutti) deve fare con l’Eternità. Una prece riservata ma vera e sentita sarebbe stata molto più utile (non solo all’anima di Pavarotti ma anche agli italiani). Perché pure agli italiani? L’economia dell’informazione e della comunicazione studia i segnali che si inviano e come vengono decodificati da individui, famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni. Per un segmento non indifferente degli italiani, Pavarotti è stato non soltanto genio ma anche sregolatezza. Nei confronti della famiglia (molte vicende complicate prima del divorzio e del nuovo matrimonio civile). E nei confronti del fisco (un tormentone concluso con un concordato di alcune diecine di miliardi). Non sta certo a nessuno di noi formulare un giudizio su questioni strettamente private. Nella veste di Presidente del Consiglio, però, Prodi pare avere dato un segnale forte nei confronti di quella molti, a torto od a ragione, considerano un’esistenza un po’ libertina ed un’etica tributaria un po’ disinvolta.
Dopo questa stecca, Prodi avrà difficoltà a mostrarsi paladino di una politica per la famiglia (che il suo Governo non ha) ed a chiedere ai parroci di collaborare con VVV (Viceministro Vincenzo Visco) nella lotta all’evasione.
10 Settembre 2007 evasione fiscale famiglia Italia pavarotti prodi Commenti (1) Commenta Email Condividi